118, medici e infermieri: non dimentichiamo che in emergenza vince la squadra

Abbiamo cercato di scherzare perché oggi è il primo aprile. Ma non possiamo smettere di tenere alta l’attenzione su quella che è una battaglia davvero poco comprensibile, a livello normativo, fra competenze mediche e competenze infermieristiche.

C’è ancora chi – nel nostro Paese – non capisce che l’emergenza urgenza si fa con una squadra di persone, non con singoli protagonisti. Perché il protagonista di un soccorso è e deve essere, sempre, il paziente. Ogni riferimento all’OMCEO e alla considerazione del presidente bolognese Pizza sul ruolo e sulla professionalità dell’infermiere di area critica è voluto, anche perché se gli infermieri in Lombardia, Toscana ed Emilia-Romagna hanno dei protocolli è proprio perché i medici anestesisti rianimatori che governano quelle strutture credono nelle competenze maturate dagli infermieri, che sono diverse da quelle maturate dal medico e – spesso – semplicemente complementari. Tanto da permettere al medico di avere (una volta in PS) un paziente meno complesso da trattare, grazie proprio al buon lavoro dell’infermiere e del team di soccorso inviato per tempo. Questo affermazioni non se le sono inventate gli infermeri, o i giornalisti, o dei politicanti che vogliono ottenere voti.

Nei fatti tutto ciò è scritto nel testo che norma la regolare l’attività infermieristica nel settore, il DPR del 27 marzo 1992. Un decreto presidenziale, che all’articolo 10 sancisce in maniera inequivocabile che “il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.

Detto questo, non vogliamo entrare nella diatriba legale, assicurativa o scientifica. Vogliamo solo spiegare un po’ meglio quello  che è già la realtà in tante parti d’Italia e che un provvedimento disciplinare non può cambiare: Per fare un buon soccorso serve un buon gioco di squadra  fra infermieri, medici, volontari e tutti i componenti che intervengono in una fase di soccorso. Per fare questo, riprendiamo un testo del dottor Rommel Jadaan, professionista stimato in Svizzera, che ha lavorato in Italia nel 118 SUEM di Bassano del Grappa.

“TEAMWORK NEL 118 IN ITALIA: MISSION IMPOSSIBLE?? NO”

“Tutti per uno e uno per tutti!”
Parlando di famiglia e di familiari, anche noi soccorritori ed assistenti siamo in realtà come una grande famiglia: ci sono i fidati Vigili del fuoco, i Vigili e la Protezione Civile, la Polizia Stradale ed il Soccorso Stradale. Il Soccorso Alpino e la Guardia forestale, i Carabinieri e tutti coloro che, lavorando sempre in prima linea, ci permettono di vivere in sicurezza.

Grazie a tutti loro!

Per me è sempre molto bello poter far parte di questa grande famiglia, lavorare fianco a fianco per salvare la vita a molte persone; tutti noi abbiamo lo stesso scopo ed ognuno di noi cerca di eseguire al meglio il proprio lavoro, per poterlo raggiungere al più presto.
Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto il massimo rispetto verso tutte le forze dell’ordine e verso i soccorritori di diversa natura. Molti sono portati a pensare, che una persona in emergenza possa salvarsi solo dopo l’arrivo del medico e non sanno che il medico è solo una delle carte da gioco, in un panorama molto più ampio, che rappresenta, invece, tutta la squadra. Lavorare senza i Vigili del Fuoco che hanno sempre la soluzione giusta ai problemi pratici, per me, sarebbe inimmaginabile, così come lavorare senza gli uomini e le donne della protezione civile o senza infermieri…ognuno nel suo settore e nel suo modo, rappresenta una parte della squadra, della grande famiglia del soccorso.

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