Paramedico in Scozia: l'intervista

In questi giorni ho avuto modo di contattare Mario, italiano, 45 anni e un passato impegno nel mondo del soccorso extraospedaliero in Italia; non ho potuto fare a meno di fargli qualche domanda in merito al suo attuale lavoro nel Regno Unito: Mario è un paramedico.

1. Prima di tutto una breve presentazione: chi sei, quanti anni hai, da dove vieni e a cosa ti dedichi?
Il mio nome è Mario, ho 45 anni e vengo dalla Toscana in provincia di Lucca; ho lavorato come soccorritore per una Misericordia convenzionata con il 118 di Lucca, nel 2005 mi sono trasferito in Scozia dove ho iniziato quasi subito il corso per paramedico. Mi dedico soprattutto all’emergenza extraospedaliera in ambulanza e in elicottero e recentemente ho iniziato la formazione per i soccorsi speciali.

2. Che tipo di formazione hai? Qual’è stato il tuo percorso italiano ed estero per poter lavorare come paramedico?
Ho una formazione universitaria iniziata nel 2006 presso la Glasgow Caledonian University con una laurea in Paramedic Studies con specializzazione in Critical Care. Il percorso Italiano come tutti sappiamo sono le famose 120 ore di corso regionale con zero possibilità di poter fare carriera come soccorritore, e le mansioni sono limitate. La laurea in paramedic practice dura 3 anni e la specializzazione altri 2 anni.

3. Quali sono, secondo te, le grandi e piccole differenze tra i sistemi di emergenza extraospedaliera italiano e britannico? Hai incontrato difficoltà di qualche tipo nel tuo inserimento?
Per quanto riguarda le differenze: sono abissali. Nel Regno Unito in generale il sistema di emergenza extraospedaliero è garantito da professionisti (paramedici) altamente qualificati che lavorano per il sistema sanitario nazionale (NHS); molti infermieri italiani sostengono che il paramedico anglosassone sia un tecnico dell’emergenza, invece è totalmente il contrario: il paramedico è una figura sanitaria a tutti gli effetti che lavora in autonomia senza supervisione. Qui viene definito la figura tra medico e infermiere. Non esistono volontari nell’emergenza extraospedaliera, anche se ultimamente nelle zone molto remote sono state introdotte figure come il community first responder che seguono una formazione sotto lo Scottish Ambulance Service.
A differenza dell’Italia dove la formazione varia da regione a regione e alcune volte da provincia a provincia, nel Regno Unito la formazione è omogenea, tanto è vero che spesso i paramedici si spostano da nord a sud per coprire i turni in altre zone della nazione (Bank Shifts). Per quanto riguardo il mio inserimento sì, all’inizio non è stato semplice ma alla fine ne è valsa la pena.

4. Parlando di sicurezza e tutele degli operatori, rilevi qualche differenza sostanziale?
Sì, ci sono molte differenze; in primis tutti abbiamo un contratto ben stipulato e abbiamo un grosso aiuto dai sindacati, ma sostanzialmente siamo trattati molto bene. Siamo ben visti sia dalla comunità sia dai medici di PS e di reparto. Dobbiamo rigorosamente seguire i protocolli sulla sicurezza e prevenzione nell’ambiente lavorativo e abbiamo una linea dedicata in caso di incidente, dove abbiamo sempre la precedenza in caso di infortuni, anche minimi.

5. Passando invece alle cose pratiche: che tipo di manovre, considerate qui in Italia esclusive di medico o comunque personale sanitario, puoi effettuare? Fino a dove “puoi spingerti”, insomma, nel soccorso e nel trattamento?
Riguardo alla cose pratiche: abbiamo come ho detto in precedenza piena autonomia e seguiamo linee guida; possiamo scegliere l’ospedale di destinazione basandoci sulle problematiche mediche o traumatiche del paziente, possiamo amministrare una quantità enorme di farmaci, possiamo fare la fibrinolisi in caso IMA, drenaggi toracici, intubazioni OT, RSI (Rapid Sequence Intubation), la cricotiroidotomia d’emergenza, usare vari tipi di supporti per le vie aeree (maschere laringee, Igel, ecc.) e possiamo gestire i trasferimenti di pazienti intubati stabili da ospedale a ospedale.
Possiamo dichiarare i decessi sia medici sia traumatici. Se abbiamo difficoltà in alcuni soccorsi, come in caso di persone con arti a rischio amputazione, allora viene chiamato il medico di PS specializzato in medicina d’urgenza a gestire l’amputazione e il paziente fuori dall’ospedale. Limiti? Non fare quello che non sei stato formato a fare, tipo infondere sangue, o manovre esclusive del medico come aprire un torace o un addome. Ma a dire la verità i limiti sono molto pochi.

6. Hai qualche consiglio che potrebbe essere utile a chi volesse seguire un percorso simile al tuo?
Consiglio di provare, di sapere bene l’inglese. Il corso è molto complicato e lungo ma alla fine merita e dà soddisfazioni

7. Infine, c’è qualche argomento che non abbiamo toccato ma di cui ti piacerebbe parlarci?
Ultimamente ho preso parte a un gruppo di formazione che si occupa dei soccorsi speciali e corsi NBCRE e MTFR (Medical Tactical Fire Arm Response). Questo permette di seguire le squadre SWAT durante situazioni con ostaggi e in caso di attacchi terroristici. Poi un corso per Silver Commander cioè colui che dirige le squadre di ambulanze durante una maxiemergenza. Abbiamo mezzi esclusivamente dedicati per affrontare le emergenze chimiche e batteriologiche: sono camion come quelli dei VVF con tutto il necessario per la decontaminazione. Nel Regno Unito i VVF non hanno giurisdizione in ambienti dove ci sono pazienti feriti o contaminati. In pratica spengono solo incendi e aprono le macchine. In caso di esplosioni mettono in sicurezza il perimetro ma non si occupano di feriti, infatti come paramedici abbiamo le tute anti-contaminazione e gli autorespiratori.

Terminata la piccola intervista e lette le risposte, non posso che condividere le parole di Mario: “le differenze sono abissali”.

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