Fiat 238, trent'anni di storia dell'ambulanza in cinquanta foto

Articolo di: Alberto Di Grazia

Grande sensibilità al vento laterale, tendenza a spegnersi al solo entrare in una pozzanghera d’acqua appena più profonda perché gli schizzi bagnavano subito lo spinterogeno, ruotine piccole, che non potevano certo regalare una tenuta di strada da Formula 1…eppure ha di fatto monopolizzato il parco ambulanze italiano per almeno una quindicina di anni; gli ultimi esemplari sopravvissuti sono arrivati fin oltre la metà degli anni ’90 e alla fine chiunque lo abbia usato ne serba un ricordo più che buono.

Foto 01: le due versioni di serie, a tetto basso ed alto - da depliant Fiat
Foto 01: le due versioni di serie, a tetto basso ed alto – da depliant Fiat

Vero è che, alla presentazione nel 1967, non aveva una concorrenza vastissima nel mondo dei furgoni: ad andar bene, chi davvero avrebbe potuto impensierirlo era al massimo il Vw T2, perché – almeno in Italia – non c’erano concorrenti in gran numero.

E, sempre ad onor del vero, il Volkswagen aveva un difetto che su un’ambulanza risulta decisamente fastidioso, ossia il motore posteriore che innalzava parecchio dal suolo il vano di carico della barella, oltre a farsi sentire in maniera assai vivace all’interno della cellula sanitaria.

Poi, cos’altro? C’era l’ F12 della Alfa Romeo, stessa volumetria del 238, ruote da trampoliere in proporzione al corpo vettura, una leva del cambio montata in posizione impossibile quasi a ridosso della paratia di separazione cabina/vano sanitario, motore 1290 della Giulia, però depotenziato, ma soprattutto con un prezzo più elevato del Fiat.

Il Ford Transit: era un pochino più grande, robusto e inarrestabile, ma aveva una meccanica meno diffusa dei due italiani ( oltre che del connazionale T2 ) e questo può averne decretato l’insuccesso come ambulanza.

Per tacere del Lancia Super Jolly, roba da palati fini, appassionati di belle linee e di raffinata meccanica, mutuata dalla Flavia, ma troppo costosi per l’uso che ci interessa. E poi, con 3.000 esemplari prodotti in totale, non sarebbe nemmeno stato facile accaparrarsene uno.

Per il resto, buio assoluto, dato che i Citroen HY , i Renault Estafette e i Peugeot DB in Italia erano quasi inesistenti, per non parlare dei Mercedes che all’epoca erano al livello di pura fantascienza, fuori della Germania.

Il “nostro”, fresco di progettazione, rappresentava un netto passo avanti rispetto al Fiat 1100T che andava a sostituire: quest’ultimo, che risaliva alla metà degli anni ’50, risentiva delle impostazioni progettuali tipiche di quel periodo.

Il 238 – per tutti o quasi “duettrentotto” , così, tutto di un fiato – partendo dalla base della Autobianchi Primula vantava, di questa, la innovativa trazione anteriore, mentre prendeva in prestito il motore da quello base della Fiat 124.

La trazione anteriore era una grande innovazione per l’epoca, tanto che il gruppo preferì non sperimentarla direttamente su una macchina con il marchio Fiat, dirottandone viceversa gli oneri sulla consociata Autobianchi: la Primula debuttò al Salone di Torino del 1964, mentre – forte anche della esperienza nel frattempo fatta – il 238 vide la luce nel corso del 1967.

Dal punto di vista degli ingombri, vantava misure esterne appena più importanti del modello che andava a sostituire: la lunghezza era di 4.590 mm, con una larghezza di 1.800 ed una altezza che, nella versione di serie a tetto alto, arrivava a 2.216 mm esterni.

La Fiat, tramite la carrozzeria Savio, mise in commercio una propria versione ambulanza venduta dalle normali concessionarie, che riscosse subito un buon successo: aveva un vano sanitario che già nella versione bassa vantava una cubatura di 6,5 metri, il che consentiva di alloggiare abbastanza comodamente anche due pazienti oltre a tre accompagnatori ed una attrezzatura sanitaria definita, nella brochure pubblicitaria, adeguata…ma che, in realtà, era assai scarna.

 

 

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