Cardioprotezione: defibrillatori e rianimazione non bastano. Appello a una maggiore attenzione da parte dei medici sportivi

L’installazione dei defibrillatori a partire dal primo luglio in tutti gli impianti sportivi e la formazione per le manovre di primo soccorso sono una grande conquista che l’Italia fa in questa estate. Ma va detto che questa iniziativa – per quanto lodevole e utile – non salverà tutte le vite. Forse ne salverà tantissime, ma è importante che anche la medicina sportiva e i medici aumentino la loro attenzione davanti a determinate situazioni. Come quella accaduta a Luca, un ragazzo che è morto nel 2006 dopo una partita di calcetto. La storia di questa vicenda è riassunta nell’accorata lettera della madre, che pubblichiamo integralmente. L’appello è dedicato al tema delicato delle visite mediche e degli approfondimenti specialistici. 

Gentile direttore, 
Siamo i genitori di Luca Stefanini, il ragazzo che morì improvvisamente, il primo febbraio 2006, a causa di un malore, durante una partita di calcetto (leggi qui dell’iter processuale scaturito ndr). Il nostro dolore non si può descrivere e infatti non tenteremo di farlo. Qualsiasi genitore però può comprendere quanto sia irreparabile una tale perdita e può essere interessato a proteggere i propri figli dal pericolo di una morte prematura nelle stesse circostanze di nostro figlio.
Luca era un ragazzo sportivo. Nuotatore agonistico, era stato diverse volte ai primi posti nei campionati nazionali. Nel 2003 lasciò il nuoto dedicandosi al calcio amatoriale. Un episodio di dispnea, ripetutosi due volte durante gli allenamenti, nel febbraio 2004, ci spinse a consultare vari medici specialisti di Livorno e Pisa. Nessuno adombrò neanche la possibilità che Luca avesse potuto soffrire della patologia che poi lo ha portato alla morte. Tutti ci tranquillizzarono sulle condizioni del nostro ragazzo. Tutti tranne un noto cardiologo livornese che diagnosticò una sindrome del Q.T. lungo che, a suo giudizio, avrebbe potuto essere molto pericolosa. Tuttavia, sia i medici dell’UTIC di Livorno, sia quelli del CNR di Pisa, smentirono nel modo più assoluto la diagnosi del Q.T. lungo.

La sera del 21 agosto 2004, nostro figlio ebbe ancora un malore. Portato all’UTIC gli fu detto e ci fu detto che non si trattava di problemi cardiocircolatori. Il 24 gennaio sottoposto alla visita annuale del medico sportivo, Luca fu dichiarato idoneo. Il 16 febbraio si recò ancora, per un controllo, al CNR di Pisa : nuovo ECG, nessuna terapia, ma solo il consiglio di ripetere l’esame l’anno seguente.

Questo è il quadro. Noi, i genitori, preoccupati per i malori che avevano colpito Luca, ricevevamo nel complesso la risposta di non preoccuparsi, di non essere troppo ansiosi, etc.
Soprattutto, nessuno fu in grado di avanzare, nemmeno come ipotesi, la possibilità che nostro figlio avesse qualche malformazione che con gli strumenti di cui sono dotati cliniche e ambulatori del nostro circondario non poteva essere scoperta.

Soltanto dopo l’autopsia ottenemmo una diagnosi diversa :”Cardiopatia aritmogena del ventricolo destro, documentata istologicamente da atrofia fibroadiposa miocardica”.

Sappiamo che in una lettera non si può essere lunghi e, anche se avremmo moltissime altre cose da dire, cerchiamo di arrivare alla conclusione: tormentati dall’idea di non aver fatto il massimo per nostro figlio quando ancora era in vita, ci siamo recati a Pavia, al Policlinico San Matteo, dipartimento di cardiologia, ambulatorio di cardiopatie aritmogene ereditarie. Il professor Schwartz, che dirige l’ambulatorio, esaminati tutti gli esami elettrocardiografici di Luca, ha escluso la concomitanza di una sindrome Q.T. lungo. Ma la cosa veramente grave, sulla quale vogliamo richiamare l’attenzione, è che, data la possibile ereditarietà della sindrome che ha ucciso il nostro ragazzo, il Professore ha disposto perché ci sottoponessimo, noi familiari ( padre, madre e sorella di Luca ) ad approfondimento diagnostico. Tra i vari esami c’era anche la risonanza magnetica cardiaca, alla quale nessuno, né a Livorno, né a Pisa aveva indirizzato nostro figlio. L’importanza di questo tipo di esame ci è stata confermata anche a Padova, dove il Direttore di Anatomia Patologica è apparso visibilmente contrariato dal fatto che dei medici, in presenza di due episodi di dispnea e di una sincope non avessero ritenuto opportuno prescrivere nuovi accertamenti diagnostici.
Con una risonanza magnetica nostro figlio poteva essere salvato!
Non è nostra intenzione alimentare nessuna polemica. Se questa lettera sarà pubblicata, noi speriamo solo che venga letta dal massimo numero di ragazzi e di genitori. A tutti diciamo : se si manifestano dei malesseri nel corso delle attività sportive, non sottovalutateli. Ricordatevi di non fermarvi a quello che vi dicono i medici di “casa vostra”. Ricordatevi di Luca, a cui nessuno dei nostri affermati cardiologi di Livorno e Pisa seppe dire onestamente : “ Sulla base delle mie conoscenze e degli strumenti diagnostici di cui dispongo mi sembra che tutto sia nella norma, ma siccome esistono malformazioni che non siamo in grado di rilevare con la nostra strumentazione, è meglio approfondire gli esami in una struttura più attrezzata”. Sembrerebbe un discorso semplice e logico da farsi ma non è stato fatto.
Non sappiamo se per superficialità o per quel gretto corporativismo di campanile che ha solide radici in certi ambienti. Quello che certo è che una giovane vita poteva essere salvata e noi non vorremmo che altri cuori di ragazzi cessassero di battere per gli stessi motivi.

Mauro Stefanini e Mina Francisco.

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