Con Gli Occhi della Guerra: Vita in prima linea

Emergency Live sostiene il progetto “Gli Occhi della Guerra” un’iniziativa editoriale che vuole incrementare e sviluppare il reportage d’inchiesta, anche con il crowdfunding. Gli occhi della Guerra spinge il nostro sguardo verso quegli angoli di mondo e quelle tragedie che non possiamo o non vogliamo vedere.

Questa settimana abbiamo deciso di riprendere un reportage dei giornalisti Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini, dal titolo “Vita in prima linea”:

Il villaggio di Spartak si trova a metà strada tra l’aeroporto di Donetsk e il campo trincerato di Avdiivka.

Dalle macerie di queste case, le milizie separatiste difendono i sobborghi settentrionali del capoluogo. Quasi tutti gli abitanti sono fuggiti ormai da tempo. Solo una decina di famiglie resistono ancora quaggiù, con una testardaggine che sembra appartenere a un altro universo. Non c’è più luce, né acqua, né elettricità. Non esistono mezzi pubblici e neppure taxi. Anche utilizzare le automobili private è assolutamente impossibile, perché tutte le strade sono state bombardate. I telefoni cellulari non hanno linea e i negozi sono tutti chiusi. “That’s their place”, ha sorriso la nostra interprete, indicandoci un gruppo di vecchiette appollaiate sull’uscio di una delle poche abitazioni rimaste in piedi. “That’s their place”: come se fosse la cosa più logica di questo mondo.

La colonna sonora di Spartak consiste in un’unica, incessante sinfonia: il continuo crepitare dei kalashnikov e delle armi automatiche. Agitando nell’aria la sua inseparabile pistola, Dmitry Shekhovtsov ci fa strada attraverso i vialottoli deserti, in direzione degli spari.

Più ci avviciniamo ai boati, più la sua andatura si fa guardinga e caracollante: “Linea fronta!”, esclama d’un tratto, indicando un punto all’orizzonte e chiamando a raccolta intorno a sé sia l’interprete che l’autista. “Are you sure that you want to go there?”, ci fa domandare. “Da”, annuiamo. Ma è la domanda successiva a farci letteralmente sobbalzare: “Do you want to spend the night with the soldiers?” Ci guardiamo in faccia per qualche istante: la prospettiva di trascorrere una notte in trincea col cellulare muto, senza un’automobile di supporto, senza garanzie, senza la possibilità di comunicare col resto del mondo, farebbe probabilmente rabbrividire qualsiasi persona dotata di un apparato cerebrale funzionante. Ma noi siamo giornalisti, e il nostro scopo è proprio questo: raccontare da vicino cosa sta succedendo in questo disgraziato angolo d’Europa. La risposta non può essere che una sola: “Da”.

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