Emergenza e piani di evacuazione ai Campi Flegrei: c'è davvero una situazione allarmante?

C’è un nuovo studio sulle camere magmatiche dei Campi Flegrei che mette timore nella comunità scientifica e pone diversi dubbi sull’articolazione del piano di emergenza ed evacuazione. Andiamo a capire gli ultimi accertamenti e come è strutturato uno dei progetti di Protezione Civile più imponenti e complessi mai messo in opera nel panorama mondiale

43FC12C300000578-4860240-image-a-63_1504754681516NAPOLI – C’è un nuovo studio che mette dubbi e nuovi interrogativi nella comunità scientifica per la situazione dei Campi Flegrei. Lo studio parte dall’analisi di come negli anni ottanta la zona calda del supervulcano si sia alzata di 2 metri. Lo studio pubblicato sullo Scientific Reports dal gruppo di ricercatori italiani guidati dal sismologo Luca De Siena, dell’università britannica di Aberdeen, al quale hanno partecipato anche Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Osservatorio Vesuviano, Federico II di Napoli e Texas University, si è concentrato sugli sciami sismici avvenuti in un determinato periodo – gli anni fra il 1980 e il 1989 – ai Campi Flegrei. I ricercatori hanno ottenuto una radiografia di cosa è successo nel sottosuolo in quel periodo. Tra i mesi di gennaio e aprile del 1984 si sono accumulati i fluidi, forse magma, acqua, gas, roccia calda, provenienti dalla camera magmatica posta a 7-8 chilometri di profondità. Poi l’attività sotto Pozzuoli è migrata altrove.

I concetti del nuovo studio – che in sintesi ipotizzano uno spostamento della camera magmatica principale verso la zona di Napoli – hanno fatto partire l’allarme da parte delle formazioni politiche ambientaliste. “Il nuovo studio sulle camere magmatiche dei Campi flegrei condotto dall’Università di Aberdeen crea ulteriori preoccupazioni sulle conseguenze di un’eruzione e rende ancor più inspiegabile la mancanza di prove di evacuazione per le centinaia di migliaia di persone che vivono a ridosso di quell’area” dicono i Verdi, con il consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli e il consigliere metropolitano e comunale di Pozzuoli, Paolo Tozzi. “Non si riesce a capire per quale motivo la Protezione civile nazionale continui a nostro avviso a sottovalutare i rischi legati alle attività vulcaniche presenti nei Campi flegrei nonostante la convergenza di tutti gli studi scientifici che certificano quell’area come una delle più pericolose al Mondo”. “Chiediamo per l’ennesima volta che vengano svolte le prove di evacuazione e l’aggiornamento continuo dei piani di emergenza ed evacuazione perché, in caso di eruzione, l’organizzazione dei soccorsi e dell’evacuazione sarà determinante per limitare i danni di una tragedia che potrebbe essere epocale come dimostrano la storia e i tanti studi portati a termine.” hanno concluso i Verdi.

Il piano di emergenza: da San Ferdinando a Procida, una zona rossa monitorata e un piano “monstre”

092306020-ee7b1a3d-7be0-419f-a35c-ba33c5e55885La realtà della Protezione Civile però non funziona sugli studi e sulle ipotesi, ma su step di attivazione ben diversi. Premesso che un’esercitazione in scala reale sarebbe davvero complessa (non si sta parlando di una esercitazione anti-sismica ma di una vera e propria serie di evacuazioni controllate, con dislocazione degli sfollati in 11 regioni – LEGGI IL PIANO QUI) nonché capace di incutere terrore e fobie al momento ingiustificate, i fenomeni precursori che possono suggerire l’arrivo di una eruzione catastrofica vengono monitorati, e attivano in serie dei livelli di allerta e di azione ben precisi in tutta l’area campana. Ogni mese l’osservatorio scientifico dei Campi flegrei emette un bollettino e – anche ad agosto – non sono stati modificati i livelli di allerta che permangono gialli, con probabilità di eruzione bassa.

Il Piano di emergenza è articolato in diverse fasi operative, in funzione dei livelli di allerta progressivi definiti dalla Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile, in base a variazioni registrate dello stato del vulcano (sismicità, deformazioni, variazioni del campo gravimetrico, temperatura e composizione delle fumarole, flussi di gas dal suolo, composizione e temperatura della falda). I Campi Flegrei si trovano attualmente, dopo le due importanti crisi bradisismiche del 1970-72 e del 1982-84, e dopo la fase di subsidenza che ha seguito la crisi bradisismica del 1982-84, in uno stato di attività caratterizzato da modeste deformazioni del suolo, bassa sismicità, assenza di significative variazioni del campo di gravità, valori costanti di composizione e temperatura dei gas fumarolici. Tale stato è definito come livello di base.

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Variazioni significative rispetto ai valori di fondo dei parametri geofisici e geochimici vengono presi in considerazione per la valutazione dei vari livelli di allerta e quindi per l’attivazione delle diverse fasi d’intervento di protezione civile. Le procedure prevedono che qualora le reti di monitoraggio registrino tali variazioni significative, l’Osservatorio Vesuviano informi il Dipartimento della Protezione Civile, che convoca la Commissione Grandi Rischi. Quest’ultima, in qualità di massimo organo consultivo del Servizio Nazionale della Protezione Civile, sentite le relazioni scientifiche dell’Osservatorio Vesuviano, del Gruppo Nazionale di Vulcanologia e del Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti dell’I.N.G.V., comunica il passaggio al livello di attenzione, ed eventualmente ai livelli successivi.

La conseguente attivazione delle fasi operative, secondo quanto sarà previsto dal Modello di Intervento, spetta al Dipartimento della Protezione Civile, che informa immediatamente il Prefetto di Napoli; quest’ultimo provvede ad informare il Presidente della Giunta della Regione Campania, il Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Napoli e i Sindaci dei Comuni interessati. Il Piano prevede 4 livelli di allerta, individuati dalla combinazione di fenomeni precursori di diverso tipo (vedere la tabella in alto), e 5 fasi operative, in cui vengono coinvolte progressivamente le diverse strutture di protezione civile e la popolazione delle aree a rischio.

Come nel modello americano: la soluzione migliore è l’evacuazione totale

Complessivamente abitano in zona rossa 340.277 persone e 97.373 nuclei familiari, secondo i dati aggiornati al 1999 e al 2000 degli Uffici Comunali (l’Ufficio Anagrafe dei Comuni di Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida ed il CED del Comune di Napoli). La zona rossa ha una superficie di 72,65 km2 e una densità abitativa media di 4.684 abitanti/km2 (scheda 1). Dallo scenario dell’evento eruttivo si rileva che l’unica possibilità di salvezza per gli abitanti della zona rossa è nell’allontanamento preventivo dall’area e che, per parte di questa zona, si prevedono danni tali da non permettere alla popolazione coinvolta di far ritorno entro breve tempo. La soluzione ritenuta più idonea, dunque, è quella dell’allontanamento della popolazione verso le regioni esterne, cioè al di fuori della Campania, mutuando dal Piano nazionale di emergenza dell’area vesuviana la strategia del gemellaggio (fig. 6). Una strategia differenziata verrà invece adottata per la porzione di zona rossa che potrebbe essere interessata dal fenomeno del bradisisma e che coincide, in linea di massima,con il settore meridionale del Comune di Pozzuoli.

La popolazione residente in tale porzione (circa 10.000 persone) potrebbe essere ricoverata in strutture fisse della Regione Campania. Infatti una crisi bradisismica non è necessariamente seguita direttamente da un’eruzione e quindi, come accadde all’inizio degli anni ’70 e degli anni ’80, potrebbe di fatto non evolvere in attività eruttiva, mentre l’attività sismica connessa potrebbe creare danni gravi agli edifici più vulnerabili. Ovviamente, in caso contrario, si attiverebbero le procedure previste dal piano nazionale: la parte di popolazione già allontanata rimarrebbe comunque in Campania, mentre gli abitanti degli altri comuni, e quelli della restante parte di Pozzuoli non interessati dal bradisisma, si allontanerebbero verso le regioni gemellate. Attualmente l’Osservatorio Vesuviano sta lavorando a un documento per l’individuazione dell’area interessata dal bradisisma e per la definizione dei livelli di allerta in funzione di diversi fattori, con particolare riguardo alla vulnerabilità degli edifici ai continui movimenti del suolo, che costituirà il presupposto scientifico per l’elaborazione di un apposito Piano Stralcio per l’emergenza bradisisma.

Allontanamento della popolazione: resilienza e preparazione connessi a strumenti di massa

Durante la fase di preallarme, in cui la zona sarà progressivamente presidiata dai soccorritori, le famiglie che dispongono di un recapito alternativo presso amici, parenti o altro, ovvero la seconda casa al di fuori della zona rossa, potranno allontanarsi dopo aver comunicato al Sindaco il luogo di destinazione. Nella successiva fase di allarme tutta la zona rossa dovrà essere sgomberata in un tempo massimo di 4 giorni. Anche nel caso in cui nella fase di preallarme nessun abitante abbia scelto l’allontanamento spontaneo, il Piano è dimensionato per consentire l’allontanamento di tutta la popolazione flegrea in condizioni di sicurezza. Data l’impossibilità di sgomberare nel tempo suddetto i beni mobili di ognuno, i capifamiglia potranno raggiungere la regione di accoglienza utilizzando la propria autovettura e portando con sé la parte dei beni personali ritenuta indispensabile; comunque ciascuno di essi, allontanandosi con il proprio mezzo, dovrà seguire i percorsi stradali ed utilizzare i cancelli di uscita previsti dai Piani comunali. Per consentire ciò, si provvederà a garantire l’allontanamento tramite mezzo pubblico (bus-nave-treno) degli altri membri della famiglia.

 

 

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