Fiat 124 e 125, antesignane delle ambulanze compatte

Articolo di Alberto di Grazia

Unite da un insolito destino, anche se la prima, nata nel 1966, si posizionava un gradino più sotto rispetto alla 125; ma fu grazie (anche) alla 124 che nacque poi la seconda. Andiamo a fondo nella storia di questa antesignana delle ambulanze compatte.

La 124 era figlia di un progetto ben definito, programmato, voluto. Nasceva come erede dalla 1300 ( e per catturare anche qualche cliente alla 1100) con una cilindrata iniziale di 1200 cc e un velocità massima superiore ai 140 km/h; nelle varie evoluzioni troveremo anche un 1400 e pure, a fine carriera, un 1600.

Un pelo sopra ai 4 metri di lunghezza, pochi con gli occhi di oggi, abbastanza per quelli degli anni 60 , aveva grosso modo gli stessi ingombri della 1300 di cui prendeva il posto.

E dopo pochi mesi dalla berlina, arriva anche la 124 familiare ( che, per inciso, è più lunga sia pure di un solo centimetro e mezzo).

Moderna, freni a disco, linea squadrata che garantiva spazio, una familiare già pronta progettata da mamma Fiat senza necessità di studiare e costruire stampi appositi da parte dei carrozzieri: perfetta come ambulanza, no?

E invece no, non sfonda: forse si sentiva nell’aria la prossima uscita del modello di categoria superiore, forse i 1200 cc del motore furono ritenuti inadeguati ai nuovi tempi, fatto sta che le 124 in versione ambulanza non furono moltissime.

01 - foto ufficiale di fabbrica Boneschi che mette in evidenza il pianale sul quale poggia la barella; tale struttura favoriva il carico e lo scarico della barella specialmente quando occupata dal paziente; in Italia non avevano preso ancora piede infatti le autocaricanti e l’inserimento manuale da parte degli inservienti era facilitato dalla possibilità di estendere il piano di carico come mostrato in foto – foto Boneschi, gentilmente fornita da Roberto Pola
01 – foto ufficiale di fabbrica Boneschi che mette in evidenza il pianale sul quale poggia la barella; tale struttura favoriva il carico e lo scarico della barella specialmente quando occupata dal paziente; in Italia non avevano preso ancora piede infatti le autocaricanti e l’inserimento manuale da parte degli inservienti era facilitato dalla possibilità di estendere il piano di carico come mostrato in foto – foto Boneschi, gentilmente fornita da Roberto Pola

La versione più nota è probabilmente quella di Boneschi che per realizzare la sua trasformazione operò un considerevole allungamento dello sbalzo della familiare originale, rialzò il tetto e rinunciò anche al divisorio per guadagnare ogni centimetro di spazio: e così, in 4,260 metri di lunghezza esterna riuscì a ricavare un vano sanitario lungo  1,950 che – considerando lo spazio “rubato” dal cofano anteriore – era un grande risultato. Ed anche l’altezza del comparto era di 90 centimetri, non pochi per gli standard italiani.

La macchina costava 2.050.000 lire franco fabbrica, I.G.E. (l’attuale I.V.A. ma con % ad una sola cifra invece del 22% come ora), collaudo ed immatricolazione a parte, nel Novembre 1967; di queste,  960.000 erano per la trasformazione.

Si tratterebbe, oggi, di circa 20.400 euro (fonte di calcolo: sito Avvocatoandreani.it) che, anche considerando la diversa situazione economico-sociale, poneva il mezzo in una fascia di prezzo decisamente buona.

A questi dovevano essere aggiunte, tuttavia, le spese per gli accessori a richiesta.

Dal depliant di Boneschi, riporto quali e il loro prezzo: bombola di ossigeno (30.000 lire),riduttore flussometro (26.000), umidificatore (5.000), “resuscitatore” ( ben 170.000), riscaldatore comparto barella (40.000), materasso e cuscino (25.000), fari intermittenti (35.000 l’uno), elettrosirena (28.000).

Se le ultime due voci possono apparire incomprensibili, si deve ricordare che negli anni ‘60 – e non solo – era prassi abbastanza costante quella di riutilizzare, ove possibile, componenti smontati da ambulanze avviate alla demolizione per cui non era infrequente che lampeggiatori e sirene fossero forniti direttamente dal committente.

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