L’accoglienza dei migranti è un business e fa bene alla nostra economia

Articolo apparso su l’Internazionale del 14 luglio. Di: Eleonora Camilli, giornalista

L’accoglienza dei migranti è un business. E non solo per chi sulla pelle dei profughi fa affari illeciti. Assistere le persone che ogni giorno arrivano sulle coste italiane, ospitare nelle strutture i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale muove introiti che favoriscono innanzitutto gli enti territoriali e aumentano le entrate a livello locale. Profitti che in alcuni casi sono una vera e propria manna dal cielo, soprattutto per le zone in cui si soffre più la crisi.

Secondo gli ultimi dati forniti dal ministro dell’interno Angelino Alfano, a giugno erano 78mila i migranti ospitati nei centri italiani, tra strutture temporanee (48mila), strutture di accoglienza per richiedenti asilo (20mila) e centri governativi (10mila). Per la loro assistenza lo stato stanzia ai centri convenzionati una somma media giornaliera di circa 35 euro al giorno a migrante (in cui rientrano anche i 2,5 euro al giorno del pocket money che spetta agli ospiti per le piccole spese giornaliere).

“Quello dei 35 euro è il costo calcolato mediamente per i progetti del Sistema di protezione per rifugiati e richiedenti asilo (Sprar). Ma nel tempo si è attestato come costo medio anche per l’accoglienza straordinaria messa in pratica dalle prefetture”, spiega Daniela Di Capua, direttrice dello servizio centrale Sprar. “Il costo viene calcolato in base al progetto che l’ente titolare presenta al momento in cui partecipa al bando. Nel presentare il budget ci si adegua anche al costo della vita locale, ci sono infatti territori in cui i servizi sono assenti e devono essere attivati, mentre in altri già esistono. Di tutto questo si tiene conto nel calcolare la spesa”. Stando alle cifre dichiarate dal ministero, dunque, la spesa massima quotidiana per l’accoglienza è di 2,73 milioni di euro, circa 82 milioni al mese, oltre 980 all’anno.

I soldi restano nei comuni

“Sono soldi che non vanno assolutamente in mano ai migranti ma che rappresentano il costo del loro mantenimento”, continua Di Capua. “Se togliamo i 2,5 euro circa di pocket money, restano più di 32 euro (il 92 per cento del totale) a migrante che servono, prima di tutto, per coprire la spesa del personale: cioè per pagare gli stipendi, i contributi e i contratti degli operatori che lavorano nei centri, e che sono soprattutto giovani italiani. Una parte è spesa per l’alloggio e per il mantenimento delle strutture, che alcune volte sono di proprietà dei comuni e vengono ristrutturate e altre volte sono prese in affitto da privati della zona. Infine, una parte serve a pagare i fornitori, da quelli di generi alimentari alle farmacie fino alle cartolerie”.

 

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