Quando il soccorso è un problema... di lingua. Quanto aiuta una lingua straniera in emergenza?

Quanto è utile sapere le lingue straniere per intervenire in emergenza? Da quanto possiamo ricostruire con diversi casi, anche recenti, molto. E per approfondire e capire meglio quanto la lingua straniera sia importante, soprattutto nelle metropoli, ecco il racconto della collaboratrice di Emergency Live Alessandra Bertolè Viale, istruttore AREU in Lombardia.

 

Missione_Umanitaria_Aeronautica_Militare_e_Busnago_Soccorso_in_Cina-3“L’inglese è la lingua del futuro, studiala!”

Quante volte abbiamo sentito questa raccomandazione ed io da brava figlia di insegnante di lingua inglese ho imparato a leggere sui libricini di favole comprati dalla mamma nei suoi numerosi viaggi oltremanica. Poi mi sono appassionata anche al tedesco e, un po’ meno, al francese e, quindi, oggi, quando svolgo il mio servizio in ambulanza, posso contare su queste possibilità di comunicazione, senza dimenticare la conoscenza del latino e del greco, superstiti degli studi classici…

Sicuramente per i medici e gli infermieri che studiano e si confrontano con i colleghi stranieri l’inglese è indispensabile, ma nella Milano del 2016 davvero è importante parlare inglese per prestare soccorso in ambito extra ospedaliero? A parte il glorioso periodo dell’EXPO 2015, dove era più facile incontrare cittadini del mondo con il loro meraviglioso idioma anglossassone, o teutonico o dei cugini d’oltralpe (anche se secondo me i nostri parenti più stretti sono gli spagnoli), per il resto del tempo, mi chiedo se non debba dedicare i miei sforzi ad apprendere il cinese e l’arabo, che sono le lingue che fanno da padrone nel sottobosco metropolitano.

114343560-c8f84917-1511-4a39-b074-19c5b6e27578Perché la realtà è che oggi nelle nostre grandi città sono gli immigrati più o meno regolari e censiti , più o meno integrati, ad essere protagonisti dei nostri soccorsi, nei quali la difficoltà maggiore non è rappresentata dalla patologia in sé -per assurdo più grave è, più facile è da soccorrere- ma dalla barriera linguistica che crea un problema spesso difficile da risolvere, poiché molti di loro parlano solo la propria lingua, a volte sono analfabeti o comunque con un livello culturale medio basso. Con i cinesi siamo un po’ più fortunati perché quasi tutti i “china” sono dotati di smartphone tecnologico con traduttore incorporato, al quale si rivolgono con la speranza che permetta loro di spiegarsi, di esprimersi, di far capire a quegli strani omini in divisa arancione, arrivati con carrozza bianca e lampeggianti blu, per quale motivo abbiano chiesto aiuto. E qui si apre un mondo di scenette tragicomiche in cui il paziente digita strani caratteri ideografici che prendono forma di lettere componendo sullo schermo altrettanto improbabili parole, leggibili solo perché scritte in times new roman, ma dal significato oscuro. Sguardi di sostegno e incoraggiamento scambiati tra i soccorritori, qualche risata trattenuta, ma non bisogna perdersi d’animo proviamo al contrario: comando vocale, parola scandita con una pronuncia che neanche al telegiornale, ma il malefico strumento ti rimanda una storpiatura tale che ti chiedi se, per caso, non sei pronto anche tu per scrivere all’Accademia della Crusca avendo appena inventato un nuovo termine dal sapore vagamente medico.

mediatore_la_stampaProviamo a gesti, il linguaggio del corpo dovrebbe essere universale… ecco, come sempre il temperamento occidentocentrico ci fa credere che il nostro modo di gesticolare sia l’unico possibile, che una smorfia, un movimento della mano siano identici in qualsiasi parte del mondo, ma non è così.
Una lingua non è solo una serie di regole grammaticali, ma è specchio del modo di vivere, della cultura del popolo che la parla, il modo di comunicare è figlio di anni di evoluzione, di sviluppo lessicale, di maturità antropologica. La comunicazione è antica e moderna, è dinamica, si evolve assorbendo i cambiamenti e le necessità e cresce nutrendosi degli stimoli degli incontri- scontri con costumi diversi, diventando sempre più complessa e nuova.
Con le persone che parlano solo arabo, arrivate dai più svariati paesi medio-orientali e nord africani, dove la penetrazione dell’islam ha spazzato via le ultime tracce del colonialismo europeo e, in taluni casi, anche i segni di un glorioso e faraonico passato, la questione si complica ulteriormente perché alla barriera linguistica si aggiunge quella religiosa. Quest’ultima impedisce alle donne di essere guardate da uomini, non importa quale sia la loro professione e il loro ruolo in quel momento, dove uomini ignorano le donne e sono sorpresi, per non dire infastiditi, se questa rivolge loro la parola, figuriamoci toccarli con mani impure, seppur guantate.
20140721103416-ramadan_pregnant_fastingUna volta ho soccorso una donna, incinta con perdite ematiche dalla vagina, non ricordo esattamente la nazionalità, aveva il burka che le copriva ogni parte del corpo, perfino gli occhi guardavano il mondo attraverso una rete. Lei non parla altro che arabo, il marito, oltre all’arabo, parla uno stentato inglese imparato di straforo guardando film proibiti (e non perché erotici, ma perché eretici in quanto americani), ascoltando musica proibita e collegandosi al mondo attraverso un proibito internet, il medico dell’msa parla solo l’italiano. In un surreale telefono senza fili, il medico pone a me la domanda in italiano-medichese, io in inglese medico semplificato al marito, che mi guarda smarrito (dovrebbero fare le canzoni rock che parlano di malattie, rap con vocaboli tratti dal libro di anatomia e film sui protocolli per la rilevazione dei parametri), il marito in arabo alla moglie ( e già qui abbiamo perso il controllo sulla traduzione e sull’efficacia del messaggio) che risponde e lui che riporta a me in inglese maccheronico quanto, presumo, gli abbia riferito la sempre più dolorante donna, ed io che concludo il tragitto in italiano al medico, che, a questo punto, deve fare appello a tutte le sue competenze enigmistiche per risolvere il rompicapo. Alla fine si decide che, tutto sommato, si può scaricare il problema sul pronto soccorso ostetrico ginecologico dove speriamo di far arrivare in tempi utili un mediatore culturale.
Il tutto senza che il medico potesse toccare la donna, senza che l’infermiere potesse avvicinarsi per svolgere il suo lavoro, fidandosi esclusivamente delle mie valutazioni e del mio inglese.
In queste situazioni è importante che tutto il personale coinvolto (siano soccorritori, infermieri o medici) metta in gioco capacità e qualità personali che esulano dal sanitario stretto, è necessario liberarsi di pregiudizi e tentare una via di comunicazione creativa, che mischi il linguaggio non verbale di stampo culturale- religioso, che ci differenzia, a quello più autentico del sorriso, in tutti i popoli segno di apertura, che ci unisce.

È fondamentale essere capaci di cogliere le sfumature dei gesti, il tono della voce, non forzare un’intimità o una vicinanza non necessaria.
Roma. Capodanno Cinese a Piazza del PopoloE soprattutto armarsi di pazienza, perché spesso queste persone sono spaventate dall’impossibilità di farsi capire, hanno paura di non essere capite, di essere scambiate per qualcosa d’altro, a volte il fardello di sofferenze e soprusi che hanno subito li rendono diffidenti, e quel foglietto multi lingue, che molti PS milanesi (ma anche in altre città) consegnano al paziente all’accettazione, non è sufficiente a colmare il “silenzio dell’incomprensione”, perché magari il paziente non sa leggere, e anche nel caso in cui abbia capito perfettamente, resta una strada a senso unico, perché nessuno può interpretare la sua risposta, e se il canale non è a doppio senso non abbiamo dialogo, ma solo un triste monologo.
In qualche occasione siamo ricorsi al disegno, con la mia segreta speranza di incrociare sulla mia strada un novello Michelangelo, altre volte al mimo, altre ancora, semplicemente ci siamo aggrappati ai numeri dei parametri vitali perché quelli non mentono mai.
All’ombra della Madonnina dove nascono più HU che Brambilla è necessario ripensare alla nostra visione del soccorso e ricercare nuove strategie per semplificare il compito di chi deve intervenire in situazioni spesso al limite e al confine della dignità, per prendersi davvero cura di chi ha bisogno, potendo davvero comprendere il dolore dell’altro e trattarlo in modo adeguato avendo valutato correttamente tutti i fattori.

Alessandra Bertolè Viale, istruttore AREU Lombardia e soccorritore volontario presso la Croce Verde Sempione Milano e SOS Malnate (Varese), associazioni Anpas.

Potrebbe piacerti anche