Schiavismo in ospedale, dopo 32 ore di lavoro non puoi rifiutare un ordine di servizio. E' giusto obbligare un professionista a ritmi insostenibili?

Non si può essere stanchi dopo 2 turni di fila (uno ordinario e un notturno di 12 ore in reperibilità), e se si rifiuta di effettuare un terzo turno, si viene sanzionati. La vicenda che stiamo descrivendo sta girando da infermiere ad infermiere ed è un grave problema per il settore pubblico che, nonostante sia in vigore in Italia la normativa europea sui turni di riposo e il giusto orario di lavoro, vede ancora diverse realtà locali che non affrontano il tema in modo specifico.

Per questo “Il Resto del Carlino” ha pubblicato un articolo di cronaca davvero surreale, dove un infermiere si è visto sanzionare verbalmente dall’ASL dopo aver rifiutato di sottostare ad una richiesta di servizio inumana dal punto di vista degli orari di lavoro e impossibile da sostenere dal punto di vista della qualità professionale.

Quale essere umano sarebbe in grado di lavorare bene dopo 32 ore di servizio fra corsia e reperibilità?
Bisogna – prima di andare a prendere l’intervista rilasciata dall’infermiere al Resto del Carlino, fare un passo indietro sulla questione degli orari di lavoro nel settore sanitario. Secondo il Ministero del Lavoro la reperibilità e la chiamata in servizio “sospende” il riposo e non lo “interrompe”. Una interpretazione che cozza con quella Europea, che da novembre è legge. In estrema sintesi secondo il Ministero del Lavoro, al termine della prestazione lavorativa resa in regime di reperibilità, non si dovrà riconoscere un altro periodo completo di riposo, bensì un numero di ore che, sommate a quelle fruite precedentemente alla chiamata, consentano il completamento delle undici ore di riposo complessivo. Ma questa interpretazione è in linea con la direttiva europea? Secondo una recentissima sentenza della Corte di Giustizia Europea (C189/14 del dicembre 2015) non è possibile ridurre il riposto del professionista. L’importanza del “riposo adeguato” viene ribadita secondo i canoni della regolarità dell’adeguata lunghezza e della sequenza di ore “continua e non condizionata da potenziali ritmi irregolari di lavoro”. Il valore della continuità del riposo è anche dato dalla consecutività del riposo minimo.

Perché è importante ribadire che il riposo dev’essere continuo e non condizionato da potenziali interruzioni? Perché questo doveva eliminare a livello europeo l’interpretazione che viene data alle parole usate nelle rispettive norme nazionali. Se il riposo non può essere condizionato infatti, non dev’essere nè sospeso, nè interrotto. La scelta di questo infermiere, che ha rifiutato un ordine di servizio per non sottostare all’ennesimo turno in blocco operatorio, è un caso paradigmatico: se il riposo non è qualitativamente adeguato, quale professionista sarà mai in grado di dare il meglio di sè in sala operatoria? 

Da questa vicenda scaturiscono altre mille domande: quali sono le situazioni negli altri servizi sanitari? E soprattutto, qual’è la situazione nel settore dell’emergenza-urgenza?

Qui l’intervista integrale all’infermiere Francesco Pezzuto su Il resto del Carlino.

PEZZUTO, sorpreso dalla sentenza?

«Non del tutto. Ero certo che l’azienda non avrebbe mai archiviato la mia posizione, ammettendo di aver sbagliato ad attivare un procedimento disciplinare».

Un precedente pericoloso perché?

«Significherebbe rivedere l’intera organizzazione del lavoro difficile da affrontare».

Cosa pensa, nel merito, della sentenza?

«Una decisione neutra: con il richiamo verbale non c’è motivo di battagliare, si tratta di una punizione lieve, al massimo rischio una sanzione pecuniaria pari a quattro ore di lavoro».

Cosa comporta il richiamo verbale?

«La sanzione resterà nel mio curriculum per due anni. Se entro questo periodo dovessi ‘ricacciarmi’ nei guai la sanzione si aggraverebbe fino ad una probabile sospensione. Se invece in questo lasso di tempo non succede nulla, il provvedimento si cancella automaticamente. Sono molto vicino alla pensione, stando alle regole della Fornero, ci andrò massimo nel febbraio del 2018. Ho 42 anni di servizio alle spalle e sono considerato un ‘lavoratore precoce’».

Sentenza lieve, quasi la volontà di scegliere il male minore, di non legiferare, è d’accordo?

«Sì. Per me cambia poco. Ciò che, tuttavia, non cambia è la situazione generale nel blocco operatorio. Nella mia condizione ci sono tanti miei colleghi, oberati da turni pesanti e reperibilità. Le ore si accumulano e la stanchezza cresce di conseguenza. Intanto a me ricapita già domani».

Ci racconta la vicenda nel dettaglio?

«Sono smontato dal turno di mattina poco prima delle 14, alle 20 mi hanno richiamato reperibile e ho lavorato in sala operatoria per dodici ore; smontato di nuovo dovevo tornare in servizio alle 13,40 per il pomeriggio, ma non ce l’avrei mai fatta, ero a pezzi».

Lei aveva avvisato della sua intenzione di non presentarsi in turno?

«Certo, ho lasciato una nota scritta. La caposala mi ha svegliato alle 11 per dirmi di andare al lavoro, io le ho risposto che l’avrei fatto solo con l’ennesimo ordine di servizio che ti obbliga, ma, al tempo stesso, ti tutela».

Si spieghi meglio.

«Semplice: se, senza ordine di servizio, lavoro e durante un intervento il paziente muore, quando vanno a vedere i turni io risulto fuorilegge e non avrei neppure la copertura assicurativa dell’Inail. Ma soprattutto…».

Dica

«Mi metto nei panni dei pazienti che, giustamente, chiedono personale in servizio fresco e riposato. Spesso sono stato costretto a lavorare 24 ore su 36, non è accettabile, per me e per i pazienti».

Lei ha una lunga esperienza di lavoro, le era mai capitata una cosa simile?

«Mai. Sto in azienda da tantissimi anni e da quando sono rientrato, nel 2005, e svolgo il lavoro nel blocco operatorio, non ho mai mandato malattia. È bastato un rifiuto per manifesta impossibilità ed ecco la punizione».

Cosa le resta di questa vicenda?

«Tanta amarezza»

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