Staffetta sanitaria per Kobane: la situazione

KobaneKobane, Siria: Dopo l’ISIS e le bombe che sono servite a cacciarlo, anche dai vicoli della città si riesce a vedere quasi l’orizzonte. Eppure, dove tutto sembra essere maceria, qualcuno si muove ancora. Nei pochi locali ancora in piedi c’è chi riprende a lavorare, e chi non ha mai smesso. Tra questi ultimi ci sono degli italiani, donne e uomini; sono gli attivisti e i giovani sanitari che hanno risposto al grido di aiuto del popolo curdo: alla chiamata del Rojava.
Si chiama Staffetta Sanitaria per Kobane, e rientra tra le iniziative promosse dalla campagna Rojava Calling. È, in sostanza, il lavoro di chi si impegna a portare aiuti sanitari alla città kurda di Kobane, prima conquistata dall’ISIS e poi quasi totalmente distrutta dai bombardamenti americani che hanno aiutato a cacciare gli estremisti.

Di questo lavoro parliamo proprio con gli attivisti della Staffetta, che hanno risposto ad alcune domande sul loro intervento e sulla situazione sanitaria nell’area.

1) In primo luogo credo sia il caso di introdurre la Staffetta Sanitaria per Kobane: come vi collocate all’interno delle iniziative umanitarie volte al sostegno e alla ricostruzione della città di Kobane e delle molte aree del Kurdistan colpite dalla guerra? Come siete nati, e di quali professionalità o aiuti siete in cerca?


f4
La campagna Rojava Calling nasce da un insieme di associazioni, singoli e centri sociali, che hanno a cuore la causa Kurda. L’impegno di tanti viene anche da lontano, da quando si appoggiava la liberazione di Apo Ocalan, detenuto in Italia diversi anni fa, inviato in Kenya dal governo italiano e da lì consegnato ai Turchi dai servizi segreti, con la  complicità degli americani e degli israeliani.
Quindi la campagna si struttura nell’alveo delle iniziative intraprese da anni dalla Rete Kurdistan italiana, e ancora di più trovano il proprio posta da quando, con la devastazione dello stato Siriano, le milizie di ISIS hanno attaccato le città curde in Siria, ed in particolare Kobane.
Questa città, posta al confine con lo stato Turco, viene prima occupata dall’ISIS e, successivamente, liberata dai combattenti Kurdi con l’appoggio anche dei bombardamenti americani, che ovviamente fiaccano l’ISIS ma, purtroppo, distruggono per almeno l’80 per cento la città stessa.
La maggior parte della popolazione civile scappa in Turchia e viene accolta in diversi campi per i profughi allestiti intorno a Suruc (cittadina amministrata dai kurdi a pochi chilometri dal confine con la Siria) ed è qui che intervengono le prime Staffette sanitarie a supporto delle strutture mediche dei Kurdi, anche queste costituite su base volontaria.
Altre iniziative sono portate avanti dalla campagna Rojava Calling in raccordo con la Rete Kurdistan Italia: come la costruzione di una casa per le donne a Kobane,  l’educazione sanitaria o la promozione dello sport per i ragazzi del Rojava.

2) Com’è oggi la situazione nelle aree in cui operate, parlando di sanità e di soccorso sanitario? È operativo qualche servizio organizzato o il contesto emergenziale non lo permette?

La campagna Rojava Calling, come dicevamo, organizza delle Staffette sanitarie per inviare medici e farmaci nei campi profughi a partire da Dicembre 2014, ma a seguito della liberazione di Kobane, i civili ritornano man mano a casa e quindi le necessità cambiano, è costante il bisogno di personale sanitario, farmaci e attrezzature per i campi profughi, anche se ora tutto lo sforzo è indirizzato alla città di Kobane.
Ovviamente la situazione è, e continua ad essere, difficile; anche perché il governo Turco limita il passaggio di sanitari, farmaci, attrezzature e aiuti in generale, o addirittura li ostacola, fino al paradosso che permette il passaggio di armi, di miliziani e anche di autobombe dell’ISIS dal proprio confine verso la parte Siriana controllata dai Kurdi, (sopratutto perché non vuole uno stato Kurdo al proprio  confine ).
I servizi sanitari disponibili  sono assicurati da giovani medici ed infermieri kurdi di origine siriana e non, che prestano la loro opera presso un ospedale di emergenza gestito dalla Mezzaluna Rossa Kurda. Le Staffette sanitarie operano a supporto di questa struttura, concordando con i responsabili sanitari di Kobane tutti i dettagli di ogni intervento.

3) Quali sono le criticità logistiche e sanitarie che incontrate, e quali i mezzi e gli strumenti a disposizione della sanità locale?


Le necessità per i civili sono sopratutto di tipo sanitario (a Kobane c’erano due ospedali, entrambi bombardati), relative alla rete elettrica e idrica, nonché all’approvvigionamento di carburante per far funzionare le centrali elettriche, senza dimenticare l’approvvigionamento di derrate alimentari.
Noi abbiamo appoggiato, e stiamo cercando di continuare a farlo, l’ambulatorio della Mezzaluna Rossa Kurda (unico presidio sanitario della città) con l’invio di medici, infermieri e materiale  che rischiano comunque sempre di essere bloccati alle frontiere.  Si sta cercando di intervenire con continuità in ambiti sanitari specifici (ad esempio quello odontoiatrico, cardiologico, ecc.) portando le attrezzature minime e comunque adeguate alla situazione (come pentole a pressione per sterilizzare la strumentazione odontoiatrica, per sopperire alla mancanza di energia elettrica) e formando il personale locale in modo che diventi autonomo.

4) Qual’è la risposta degli italiani alle numerose richieste di aiuti umanitarie arrivate dal Kurdistan e da Kobane in particolare? E quella del nostro Stato?


Nonostante i mezzi di comunicazione trattino la questione kurda con notevole ambiguità, associando in qualche modo i kurdi ad ISIS (che guarda caso è l’operazione che sta facendo ora la Turchia) la risposta della cosiddetta società civile è sicuramente positiva: campagne di raccolta di medicinali e vestiti hanno avuto molto successo e sono state fatte in tante zone l’Italia:  peccato che quasi mai le autorità turche hanno consentito che i materiali raccolti giungessero nei campi profughi. In effetti, l’unico modo per far arrivare medicine ed attrezzature è di portarle nelle valigie dei volontari. Anche gli Enti locali hanno dato risposte positive, con numerosi patti di amicizia e mozioni di appoggio alle rivendicazioni kurde per la ricostruzione di Kobane.
A queste azioni di cooperazione dal basso e impegni di Enti locali, non corrisponde un impegno chiaro del governo in ambito europeo per appoggiare le rivendicazioni politiche o per far aprire un corridoio umanitario dalla Turchia verso Kobane. Il governo italiano e in genere l’Europa “hanno per cuore un portafoglio”, come diceva De Andrè in una sua canzone. Conseguentemente, nessun aiuto arriva dal governo italiano, dalla Croce Rossa, Caritas e qualunque altra ONG, che evidentemente si muovono solo a seguito di progetti ed interventi finanziati. Questo rende indispensabile qualunque intervento che arriva dall’esterno e quindi anche quello delle Staffette sanitarie.

5) Quali sono, se ce ne sono, gli altri attori dello scenario umanitario con cui entrate in contatto?

Qualche ONG non italiana riesce, attraverso la mediazione dei referenti kurdi nei paesi di provenienza, a far arrivare derrate alimentati e vestiti. L’unica ONG presente a Kobane è un presidio ambulatoriale non operativo di Medici Senza Frontiere olandese.

6) Uno sguardo al futuro: cosa pensate abbia in serbo per il vostro lavoro e per la popolazione kurda?

La questione va vista su diversi piani. Il piano operativo riguarda la ricostruzione delle aree distrutte da ISIS e dai bombardamenti, ed in particolare di Kobane che è diventato un simbolo di resistenza e volontà di autodeterminazione. A tale scopo, la rivendicazione principale che vede coinvolti tutti gli attori che in Europa appoggiano questa causa, è l’apertura di un corridoio umanitario per far passare aiuti umanitari e materiali per la ricostruzione.
Sul piano politico la proposta dei kurdi ed in particolare dei kurdi del Rojava che l’hanno resa operativa, è il “confederalismo democratico” e la convivenza pacifica tra i popoli come soluzione per tutto il Medio Oriente, tenendo sempre presente la salvaguardia delle autonomie culturali delle popolazioni dei vari territori e la salvaguardia dei civili. Questa proposta conferisce un particolare valore alle inziative di cooperazione dal basso, laddove altri stati fra i quali la Turchia, propongono soluzioni di tipo nazionalistico e confessionale. Non sappiamo cosa abbia in serbo il futuro e f7temiamo di essere profeti di sventura. Evidentemente ci si augura che la politica della Turchia venga fermata e vengano create condizioni per il dialogo fra le parti, anche perché appare irrealistico, persino per uno stato tendenzialmente nazional-islamico come quello che il partito di Erdogan propugna, mettersi contro il 13% della sua popolazione che ha votato per il partito filo kurdo.
Le forze di difesa kurde sono le sole che riescano a battere sul campo gli esaltati ed i mercenari di ISIS e questo non può che essere considerato dagli attori esterni alla situazione, che hanno interessi contrapposti alle mire espansionistiche della Turchia. La Staffetta proseguirà il proprio lavoro fino a quando ce ne sarà bisogno. Vorremmo che questo potesse avvenire presto… ma prevediamo che così non sarà.

Nota: il contenuto dell’intervista non è stato rimaneggiato dall’autore di questo post, ed è pertanto interamente frutto delle dichiarazioni rese da Staffetta Sanitaria per Kobane.
Potrebbe piacerti anche