L'omicidio stradale è legge, non lasciamo spazio alla legge della strada

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Roberta Smargiassi, la prima vittima di questa storia

La chiamano vendetta di Vasto, ma non è una vendetta: è un omicidio. Sarà un giudice a decidere se premeditato o meno. Il 21 febbraio Italo D’Elisa avrebbe dovuto essere davanti ad un Giudice per le Udienze Preliminari, che avrebbe deciso del capo d’imputazione di omicidio stradale che pendeva sulle sue spalle. Vogliamo 3.400 sparatorie per vendetta o vogliamo che l’omicidio stradale venga applicato con serietà?

 

La grande e terribile realtà dell’omicidio di Italo D’Elisa, 22 anni, volontario della Protezione Civile di Vasto – con nel cassetto il sogno di diventare Vigile del Fuoco – sta emergendo ogni giorno di più. Ogni volta che viene aperta una pagina come “Italo d’Elisa – la giusta fine” si comprende meglio cosa sia accaduto e cosa stia accadendo nell’opinione pubblica italiana e nella rete sociale che ci circonda. Facendo “listening” delle opinioni espresse sul web la giustizia fai-da-te sarebbe stata giusta e sacrosanta. “Un assissino” “un verme” “ha fatto la giusta fine”. Basta poco per trovare tanti commenti di questo genere sulla rete. Concetti espressi da persone che non hanno ancora capito fino in fondo che le parole hanno un peso e che sarebbe meglio non esprimerle, se non si conoscono a fondo i fatti.

Fatti che vengono ricostruiti in modi estremamente diversi se visti da una parte o dall’altra di questa barricata costruita di infinita tristezza e di immenso dolore. Perdere una persona cara in un incidente stradale è precipitare in un baratro senza fine. La cognizione di causa che ogni giornalista di cronaca nera può portare a questa situazione è dovuta alle migliaia di famiglie che si possono incontrare, per chiedere la foto del congiunto deceduto, per far capire ai lettori che una leggerezza alla guida può causare una tragedia dilaniante. Ma non sono, le descrizioni di queste situazioni fatte dalla stampa, ad uso e consumo di chi vuole che la vendetta “fatta in casa” diventi regola.

E’ illuminante a tal proposito l’intervista fatta da La Stampa a Giordano Biserni, presidente dell’ASAPS, uno dei primi sostenitori dell’omicidio stradale: “Non bisogna alimentare campagne d’odio. Una giustizia lenta è un’ingiustizia. Ma bisogna separare la giustizia ideale da quella reale. Sappiamo che il GUP aveva già fissato la data dell’udienza preliminare per valutare il rinvio a giudizio, quindi in questo caso i tempi della magistratura non mi sembrano così dilatati”. Ed è proprio da questo punto che vorremmo inserire una nostra piccola considerazione.

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Italo, la seconda vittima di questa storia

Nessuno vorrebbe che per ogni morto sulla strada ci fosse una sparatoria e un omicidio. Perché sono 3.400 i morti certificati nel 2015 e causati da incidenti stradali.E’ per questo motivo – per dare giustizia adeguata a chi è ancora in vita – che lo Stato Italiano ha redatto il reato di Omicidio Stradale. Una fattispecie di reato che avrebbe dovuto affrontare Italo D’Elisa, un ragazzo che una parte descrive come strafottente, l’altra come affranto e distrutto. Un capo d’imputazione non perfetto, certo. Come non è perfetta nessuna delle legge di nessuno Stato del mondo, perché nessuna persona la pensa allo stesso modo. Ma questa non è una motivazione sufficiente per applicare le proprie leggi, agli altri. E’ però una motivazione sufficiente per migliorare la legge.

Nessuno però arriverà a sapere la verità di questa storia. Non si può più. Oggi dobbiamo stare al fianco del dolore di una famiglia che ha perso un figlio. Esattamente come 7 mesi fa stavamo tutti al fianco di un uomo che aveva perso la moglie. Oggi a passare dalla parte sbagliata è stato Di Lello, e neppure con lui si possono trovare giustificazioni, attenuanti. Sparare per vendeta a un ragazzo di 22 anni, togliendogli la possibilità di pagare il suo eventuale conto con la giustizia, è sbagliato.

Se qualcuno vuole contribuire a migliorare questo Paese, non è il caso che prenda un’arma in pugno e cerchi la giustizia personale sparando in mezzo alla strada. Forse basta usare l’arma più forte e più grande che abbiamo: l’impegno affinché le leggi cambino, migliorino. L’impegno affinché la diffusione della prudenza alla guida, l’attenzione allo stato psico-fisico prima di mettersi al volante e il rispetto del prossimo diventino una regola, non l’eccezione.

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