Sistema di Soccorso Italiano al collasso: l'allarme farà muovere qualcosa?

Siamo davvero sempre più vicini al collasso del sistema di emergenza pre-ospedaliero italiano? A farsi questa domanda, dalle colonne del Corriere della Sera, è stato il FIMEUC, Federazione Italiana Medicina di Emergenza Urgenza e Catastrofi, insieme al SIS118. Secondo la ricostruzione di questa sigla e guardando agli ultimi tragici casi di cronaca nera, il sistema dell’emergenza-urgenza rappresenta la prima risposta alla persona che ha bisogno di assistenza immediata. Ma è un sistema da tempo “in sofferenza”, con reti territoriali non sempre organizzate o che non dialogano tra loro, con Pronto soccorso sovraffollati e vicini al collasso. Il monito di Fimeuc è arrivato nei giorni scorsi durante le audizioni presso la Commissione ingene e snaità del Senato della Repubblica. Ecco le proposte di FIMEUC per superare le criticità:

PIU’ INTEGRAZIONE FRA 118 e PRONTO SOCCORSO
Adelina Ricciardelli, presidente FIMEUC, spiega:”A mancare è innanzitutto una reale integrazione tra 118 e medici che lavorano dentro i Pronto soccorso. Sono ancora pochi, a macchia di leopardo sul territorio nazionale, i Dipartimenti di emergenza unici, cui afferiscono mezzi di soccorso, centrali operative 118, punti di Primo Intervento, servizi di Pronto soccorso, servizi di Osservazione breve. Laddove esistono, consentono, per esempio, la rotazione del personale sulle varie articolazioni, col medico dell’emergenza che oggi lavora in Pronto soccorso, domani soccorre i pazienti su un’autoambulanza. Il che facilita anche la condivisione di percorsi diagnostico-terapeutici”.

“Per ogni tipo di patologia, infatti, — continua Ricciardelli — bisogna sapere esattamente che cosa fare e a chi rivolgersi in tutte le fasi, dal trasporto in massima sicurezza alla stabilizzazione del paziente che, se peggiora lungo il viaggio, va portato, indipendentemente dalla disponibilità del posto letto, al Pronto soccorso più vicino per preservare le funzioni vitali”.

Insomma, una visione dell’emergenza a 360 gradi, che però non sempre è la regola. «Se passi avanti sono stati fatti un po’ ovunque per i traumi, l’ictus, l’infarto con la costituzione di reti specifiche, capita ancora in alcune realtà che, una volta soccorso il paziente a casa, ci si limiti a trasportarlo al Pronto soccorso, indipendentemente dalle esigenze delle specifiche condizioni — sottolinea la presidente di Fimeuc —. Occorrono provvedimenti a livello nazionale in tema di formazione, specifica, comune e articolata nei vari ambiti dell’emergenza, per molto tempo orfana di una scuola di specializzazione, partita solo nel 2009».

UN ESEMPIO DA SEGUIRE? LA LIGURIA
Ma come funzionano i diversi anelli della catena del soccorso? «Esistono protocolli standard per gli operatori delle centrali operative del 118 che ricevono e gestiscono la richiesta telefonica di soccorso — risponde Ricciardelli —. Attraverso un’intervista strutturata di qualche minuto, attribuiscono un codice colore di gravità (rosso, giallo, verde), cioè un livello di priorità d’intervento, mandando sul posto mezzo ed equipaggio più idonei». «In Liguria, per esempio, si usa il sistema MPDS-Medical Priority Dispatch System, già adottato in diversi Paesi e che ora comincia a diffondersi nel nostro — aggiunge Francesco Bermano, presidente della SIS-Società Italiana Sistema 118 —. L’intervista, che dura al massimo un minuto e mezzo, risponde ai criteri dell’International Academies of Emergency Dispatch per assicurare il soccorso più appropriato e tempestivo in qualsiasi tipo di emergenza, eliminando interpretazioni personali dei sintomi descritti al telefono».

LE CARENZE DA COLMARE
Carenze anche gravi, invece, si riscontrano sulle dotazioni dei mezzi di soccorso. «Ci sono, per esempio in Campania, ambulanze prive di defibrillatore o di elettrocardiografo anche se c’è il medico a bordo — riferisce la presidente di Fimeuc —. E in alcune zone del Paese ci sono addirittura due medici a bordo del mezzo di soccorso, mentre in altre neppure uno anche quando servirebbe. Insomma: una babele». Ma chi decide e chi controlla se un mezzo di trasporto è idoneo, se ha le dotazioni necessarie, se il personale è idoneo ? «I requisiti minimi per strutture, tecnologie, organizzazione, personale, sono stabiliti e verificati da ciascuna Regione in assoluta autonomia — dice Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe-Gruppo italiano medicina basata sulle evidenze». Oggi, tra gli indicatori per verificare l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza per l’area dell’emergenza c’è solo il tempo intercorso tra l’allarme e l’arrivo dei soccorsi sul posto, che non dovrebbe superare i 18 minuti. «Nemmeno questo, però, — dice Ricciardelli — è sempre rispettato in tutte le Regioni, come risulta dall’ultimo rapporto del Ministero della Salute su dati 2012». «E se su un territorio si chiudono i Pronto soccorso — interviene Bermano — è necessario garantire l’efficacia dei trasporti con mezzi attrezzati e personale preparato, sia in caso di emergenze tempo-dipendente (quando il tempo è fondamentale per salvare la vita o per la riuscita dell’intervento), sia quando occorrono tempi lunghi per raggiungere il Pronto soccorso di riferimento». Ma perché non trasportare il paziente sempre al Pronto soccorso più vicino? «Non sempre è il più idoneo a garantire le cure appropriate — risponde Ricciardelli — . Se, per esempio, il paziente ha un’emorragia e deve essere operato, si perde tempo prezioso se lo si trasporta in un ospedale non attrezzato per fare un intervento chirurgico urgente».

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