Auguri Frankenstein, il libro fantastico che ci ha aiutato ad avere il defibrillatore

Non è fantasia, Lancet e Science ricordano aneddoti che ricollegano le idee fontamentali del defibrillatore e del pacemaker al romanzo di Mary Shelley.

ROMA – Fra pochi giorni ricorre l’anniversario della morte di Mary Shelley, la donna che potrebbe senza ombra di dubbio mettere il suo sigillo sulla nascita del primo defibrillatore della storia, se nella storia ricomprendiamo anche le perle letterarie che hanno cambiato per sempre il nostro modo di immaginare la fantascenza e l’orrore. Sono già passati due secoli da quando l’inglese Shelley pubblicò, con grande disappunto e critiche, la prima edizione di Frankenstein: l’uomo-cadavere rianimato da una scarica elettrica fu il primo caso immaginato di rianimazione al mondo. La donna pensò questa storia insieme al marito e a Lord Byron per animare le lunghe e piovose giornate passate in una residenza estiva in Svizzera. Nessuno avrebbe mai immaginato che questa storia – nata da un gioco su alcune notizie di esperiementi galvanici effettuati a Londra – avrebbe costituito il pilastro principale delle storie d’orrore dei successivi due secoli.

E nessuno avrebbe mai pensato che proprio da un’idea così folle potesse nascere una così precisa e utile applicazione medica come la tecnologia della defibrillazione ed il pacemaker. A Frankenstein si ispirò l’ostetrico James Blundell per lo studio della formazione degli embrioni, per la trasfusione e per – giustamente – il sistema che avrebbe permesso al cuore del mostro di tornare a battere. Sempre a questo libro fa riferimento – per lo più grazie ad una passione bibliofila estremamente variegata – il dottor  Craig Venter, padre del progetto Genoma.

La conferma che le idee di Shelley sono davvero fondamentali per la medicina arriva da Science, che ha notato come Earl Bakken abbia sempre affermato – rispetto all’idea di usare l’elettricità per correggere e mantenere attivo il battito cardiaco – che l’ispirazione sia arrivata dopo aver visto il primo film sul tema, con Boris Karloff. Certo, non abbiamo dichiarazioni così chiare e precise dall’effettivo ideatore del defibrillatore a corrente continua, il dottor Bernard Lown, ma sicuramente il fatto che la corrente elettrica abbia avuto un ruolo importante nella medicina del settecento e dell’ottocento è veritiero, e che questa importanza sia stata diffusa a livello planetario da un racconto fantastico come quello di Frankenstein, lo è ancor di più. Sarebbe stato estremamente difficile una diffusione così capillare delle conoscenze maturate dal dottor Darwin e dal dottor Abildgaard sulla forza dell’elettricità nell’anatomia, senza un racconto come quello scritto da Shelley.

Un libro che continua a far parlare di sè: c’è ancora chi vuole rendere reale l’esperimento del libro. Nel 2013 in un articolo su Surgical Neurology International due ricercatori hanno proposto di replicare l’esperimento di Giovanni Aldini, il fisico italiano che, ispirandosi al libro, sottopose a scariche elettriche le teste di alcuni condannati a morte giustiziati per tentare di rianimarle.

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