Le piccole società  sportive provano a garantire ai giocatori un efficiente servizio di soccorso

Le società sportive, obbligate a dotare i campi e le palestre di defibrillatori semiautomatici, si stanno via via sensibilizzando. Sono gli stessi staff dirigenziali ad organizzare corsi per la formazione di operatori esperti di primo soccorso. Fra gli addetti ai lavori cresce il timore di trovarsi in situazioni di emergenza senza saperle affrontare, ma poiché solo le società più ricche riescono a provvedere a un servizio di soccorso che stazioni a bordo campo, si cercano formule nuove per garantire un minimo di sicurezza.

Le società sportive stipulano accordi e convenzioni con la Croce Rossa, l’Anpas e le varie associazioni di soccorso, organizzandosi in modo che almeno le squadre che giocano in casa abbiano in panchina il medico sociale. Diventa indispensabile la formazione di dirigenti e allenatori attraverso corsi per insegnare le tecniche di primo intervento e rianimazione (BLS e BLSD). Non siamo ancora alle lezioni della Red Cross per genitori, ma anche le piccole realtà si attivano per allestire sistemi pro emergenza.

Il 3 dicembre scorso, durante una partita del campionato regionale abruzzese juniores, uno scontro fortuito fra il centravanti del Raiano e il portiere del Sulmona provoca un forte trauma facciale al centravanti che perde conoscenza per alcuni secondi, inizia ad avere le convulsioni e fatica a respirare. Una situazione angosciante che l’immediatezza dei soccorsi praticati dai dirigenti e da un medico prontamente intervenuto, nonché dall’arrivo in campo dell’elisoccorso del 118, ha salvato il giocatore che se l’è cavata con 10 giorni di prognosi e alcuni punti di sutura. Allerta, tempismo e formazione adeguata evidentemente salvano la vita.

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