Lo Stato tassa la solidarietà , nuovo colpo alle vittime del terremoto dell'Emilia

Cavezzo, Emilia. Due anni fa il cuore pulsante della terra più produttiva d’Italia è scosso e sconvolto da un terremoto devastante. La scuola si disintegra, e con lei tanti altri edifici, seppellendo 27 vittime, ancora oggi piante da una comunità che non si è rassegnata a vivere e a riprendersi. Grazie alla solidarietà e alla forza laboriosa degli emiliani, quella terra che si è detta “Teniamo Botta” ha ripreso la suo quotidiana attività. A breve la scuola ricostruita con i fondi di RCS e La7 sarà aperta e disponibile. Ma proprio il Corriere della Sera scrive dell’incredibile situazione in cui si è venuto a trovare il progetto, bloccato temporaneamente per colpa di un’IVA da 300 mila euro, che si deve pagare anche su opere di beneficenza. Una tassa  su un edificio pubblico che, se non ci fossero i donatori, lo stato non sarebbe mai e poi mai in grado di ricostruire:

Il «prezzo»della beneficienza

È giusto ringraziare tutti – scrive il Corriere – tutti meno lo Stato, la cui presenza si è materializzata solo sotto forma di esoso esattore. Ciò che resta dei fondi se li prende lui. Per aver realizzato un polo scolastico con i soldi dei lettori, dobbiamo pagare una tassa. Una tassa sulla generosità prevista con l’Iva: trecentomila euro. Mentre si prepara la riforma del non profit, nessuno pensa a rimuovere un balzello che pesa sulla beneficienza: oggi in Italia lo deve pagare l’azienda che decide di ristrutturare a sue spese un padiglione d’ospedale e l’associazione che regala un’ambulanza al pronto soccorso. Un’assurdità. Accade ai Rotary, ai Lyons, alle associazioni e alle fondazioni che decidono di farsi carico di opere o lavori destinati alla pubblica utilità. Si paga l’Iva per la biblioteca restaurata dopo l’alluvione di Aulla, per la Casa del volontariato di Milano, per realizzare il centro sportivo di Scampia gestito gratuitamente dai volontari. Si paga l’Iva su tutto, calamità (ovviamente) comprese.

I paradossi del fisco

L’Iva, per chi compra o vende, è un obbligo di legge. L’imposta sul valore aggiunto si paga al 22 per cento, ma quando si realizzano opere di valore sociale come le scuole si ottiene uno sconto fino al 10 per cento. In sede di bilancio non è un problema: si tratta di una partita di giro. Chi la carica sulla merce acquistata può scaricarla su quella venduta. Per noi (e certamente per altri benefattori) invece è un extra: non abbiamo partite di giro, si paga e basta. Sono i paradossi della nostra disciplina fiscale: invece di essere agevolato, chi fa del bene viene spesso ostacolato. Non serve una doccia gelata qui: basterebbe un emendamento del governo o del parlamento per annullare un’assurda gabella, restituendola ai terremotati di Cavezzo, ai sindaci impegnati nella ricostruzione, alle insegnanti e ai bambini del polo scolastico. Sarebbe un atto di buon senso e l’inizio di una fattiva collaborazione tra privati e istituzioni, in caso di disastri e calamità. Ma nessuno ci ha pensato.

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