Quali sono il peggiore e il migliore reparto di Pronto Soccorso d'Italia?

Non si può valutare con un solo parametro la qualità della risposta di un Pronto Soccorso, questo è chiaro e va premesso. Ma si può valutare un dato secco, statistico, per dire quali sono le strutture che spiccano e quali invece rimangono indietro. Il parametro più indicativo e che sicuramente appassiona di più l’utente alla questione è il tempo in cui si è costretti a restare all’interno del Pronto Soccorso. L’inchiesta AGENAS fornisce dati precisi e allarmanti, che vedono alcune strutture messe molto peggio di altre. E i problemi sembrano concentrarsi nella Capitale.

L’ospedale in cui il Pronto Soccorso funziona meglio e ha tempi di permanenza più brevi? Il san Paolo di Bari con 82.400 accessi e nessuna permanenza sopra le 12 ore, a parimerito con il Santobono di Napoli, 105.000 accessi e nessuna permanenza sopra le 12 ore.

Il PS con i tempi di permanenza più lunghi? L’Annunziata di Cosenza, con 64.000 accessi e il 23% di questi che è rimasto in corsia più di 24 ore. In nessun altro pronto soccorso italiano la permanenza dei pazienti in corsia di PS è durata così tanto. Ma in alcune città la situazione è ancora più tragica che a Cosenza, nonostante i livelli assistenziali siano – a rigor di logica – maggiori. E’ il caso di Roma, dove ben cinque ospedali – secondo i dati AGENAS – hanno una percentuale di pazienti costretta a passare oltre 24 ore nel pronto soccorso che supera il 10% e arriva a punte del 17 per cento. Sono nell’ordine il Sant’Andrea, il Filippo Neri, il Policlinico di Tor Vergata, il Pertini e il Sant’Eugenio. Tutti luoghi in cui, ogni anno, vengono registrati decine di migliaia di accessi al pronto soccorso.

Al San Giovanni Bosco di Torino, che pure di accessi nel 2014 ne ha contati oltre 65mila, la quota di pazienti che superano le 24 ore di permanenza non raggiunge questi livelli, ma comunque non appare neppure particolarmente bassa. Se invece guardiamo a chi è riuscito a sbrigarsela in meno di 12 ore, troviamo in diversi ospedali delle grandi città valori superiori all’85 per cento. Difficile trascurare anche il Santobono di Napoli, che secondo quanto risulta ad Agenas è riuscito a trattare pressoché ciascuno dei suoi oltre 100mila accessi in meno di mezza giornata: un record.

 

VALUTAZIONI IN TRIAGE, COME CAMBIA IN BASE ALLA REGIONE?
Il programma di AGENAS che raccoglie differenti parametri ovviamente non può essere usato come una classifica. Ma serve per valutare una serie di parametri molto interessanti con cui definire criteri di miglioramento per i nosocomi italiani. Il Triage per esempio è un altro dato importante da valutare per capire quali tipologie di pazienti entrano in Pronto Soccorso. Secondo l’intervista de L’Espresso a Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, “il programma (AGENAS ndr) riporta tre categorie di dati. Innanzi tutto la copertura, ovvero un confronto su base regionale tra accessi in pronto soccorso registrati nel sistema informativo dell’emergenza-urgenza e dati Istat. Poi gli accessi per triage, cioè il numero di accessi per struttura di pronto soccorso e codice di gravità. E in terzo luogo la permanenza, che indica il numero di accessi per struttura di pronto soccorso e tempo trascorso. L’Agenas ha scelto di classificare i tempi di permanenza in pronto soccorso in tre fasce: meno di 12 ore, tra 12 e 24 ore e oltre 24 ore. L’analisi tiene conto di tutti gli accessi dal 1 gennaio al 31 dicembre 2014. Vengono invece esclusi i pazienti giunti già deceduti, quelli non residenti in Italia, di età inferiore a 18 anni e superiore a 100, o che abbandonano il pronto soccorso prima della visita medica, in corso di accertamenti, o prima della chiusura della cartella clinica”.

Secchi e semplici dati possono essere usati come indicatori generici di valutazione? Secondo Cartabellotta si “perché la rapidità con cui i pazienti vengono dimessi dal pronto soccorso è un indicatore di efficienza che influenza anche gli esiti di salute. Tuttavia è indispensabile fare due precisazioni. Innanzitutto, la soglia di 12 ore è estremamente “buonista”, perché secondo la letteratura internazionale lo standard ottimale è di 4-6 ore. In secondo luogo si tratta di valori medi che non tengono conto né della complessità dei pazienti, né del codice colore (bianco, verde, giallo, rosso) che viene assegnato al triage e identifica la gravità del paziente e l’urgenza con cui deve essere valutato. Di conseguenza, anche se il dato è utile a ciascun ospedale, può essere azzardato fare classifiche comparative utilizzando questi dati”.

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