118 Lazio e affidamenti: facciamo un po’ di chiarezza?

 

La notizia dell’affidamento di alcune postazioni 118 nella regione Lazio alle Associazioni di Volontariato ha sollevato un gigantesco polverone mediatico, sia sulla stampa tradizionale che sulle testate web che si occupano di sanità. Il messaggio estremamente superficiale – se non addirittura fuorviante – che è passato, purtroppo, è quello che vede la dirigenza di ARES 118 nei panni del carnefice e 250 “professionisti” nei panni delle vittime; un consistente sacrificio di lavoratori, immolati sull’altare del risparmio. Ma è davvero così?
Volutamente tralascio l’accusa di mancanza di professionalità volta alle Associazioni da parte di operatori militanti da anni proprio nelle stesse o, peggio ancora – pescati nel purtroppo enorme calderone della disoccupazione e ritrovatisi “loro malgrado” a svolgere un delicato lavoro in ambulanza dopo poche ore di corso PTC e BLSD.  Tralascio anche le tardive accuse, fatte dagli operatori alle ONLUS, di comportamenti illegali (riguardanti soprattutto rimborsi in nero). Su questi farà eventualmente luce la magistratura.

 

Cosa è successo negli ultimi 3 anni?

Le postazioni interessate dalla delibera “incriminata” hanno vissuto negli ultimi anni alterne vicende, tra affidamenti diretti alle Associazioni (a cifre assolutamente incompatibili col servizio richiesto), attivazioni di mezzi “spot” e – buon ultimo – un affidamento provvisorio in attesa dello svolgimento delle procedure comparative riservate alle ONLUS. La delibera 493/2015 ha creato uno schema-tipo di convenzione tra Regione e ONLUS che, in luogo delle condizioni applicate in precedenza (si parlava di circa 20.000€ al mese per le postazioni h24 con infermiere a bordo) prevede dei rimborsi a pié di lista compatibili con le spese necessarie ad affrontare nel rispetto di norme e contratti un servizio complesso come quello di emergenza sanitaria territoriale.

Perché allora si parla di “posti di lavoro sacrificati in nome del risparmio”?

Perché gli stessi volontari delle Associazioni, transitati alle dipendenze della società alla quale il servizio è stato affidato temporaneamente ora lottano contro le Associazioni stesse? Fino a qualche mese fa, le associazioni provvedevano a garantire il servizio con il proprio personale volontario, fatta eccezione per i sanitari. Il passaggio – nelle more dell’espletamento della procedura comparativa riservata alle ONLUS – ha creato però un pericoloso equivoco. La società affidataria del servizio ha dovuto giocoforza avvalersi di personale (autisti e soccorritori) dipendente, dimenticando però di chiarire con gli assunti il carattere temporaneo del loro impiego; ora gli stessi lavoratori reclamano un posto che però fino a pochi mesi fa non esisteva e hanno identificato il “nemico” proprio nelle Associazioni che li hanno formati e cresciuti come operatori del servizio. Associazioni che ora, in virtù delle potenzialità offerte dagli accordi raggiunti con la Regione, avrebbero la possibilità – e, a mio modo di vedere, anche l’interesse – di acquisire personale dipendente nella quota massima (50%) concessa dalla convenzione.
Ma in questo caso l’interesse pubblico – ricerca di sostenibilità e qualità – e gli interessi dei singoli sono stati posti in pericolosa contrapposizione. In questa situazione c’è l’intervento della società attualmente affidataria (che naturalmente ha tutto l’interesse a mantenere il servizio come società profit) e delle forze politiche intervenute in suo soccorso, non si capisce bene se a sostegno dei lavoratori, della società stessa o per creare una polemica contro il governo della regione Lazio. Anche le Associazioni, chiuse in un irragionevole silenzio, non hanno fatto nulla per porre chiarezza nella questione.

Un approccio meno strumentale e più ragionato al problema avrebbe sicuramente fatto emergere le verità tenute invece nascoste di questa situazione:

  • L’affidamento di servizi ad Associazioni di Volontariato del territorio è sinonimo da sempre di serietà e vicinanza alla comunità, rispetto a società votate al risparmio nell’esclusivo nome del profitto. Proprio in virtù di ciò l’attuale orientamento normativo (D.Lgs. 117/2017) prevede l’affidamento diretto, in via prioritaria, al Terzo settore;
  • Le figure professionali attualmente impegnate nel servizio (principalmente infermieri) rimangono invariate nel numero e verrebbero assorbite senza problemi dalle Associazioni affidatarie del servizio;

  • Gli autisti e i soccorritori provenienti dalle Associazioni, pure se per qualche mese hanno percepito uno stipendio, non possono fregiarsi del titolo di “professionista” né avanzare pretese di stabilità – proprio in virtù della temporaneità dell’affidamento del servizio alla società privata;

  • In ragione del previsto cambio di affidatario del servizio, sarebbe stato opportuno per i “professionisti” prendere contatti con le Associazioni piuttosto che demonizzarle in pubblico, proprio per le opportunità offerte dai nuovi accordi;

  • Non esiste nessuna “privatizzazione” del servizio, come invece accusa una delle parti politiche intervenute; semmai si tratta di una ricollocazione da privato a Terzo settore di postazioni da anni ormai in outsourcing.
La direttrice generale dell’Azienda regionale emergenza sanitaria, Maria Paola Corradi, è stata decisamente tranchant: ha sottolineato infatti la consapevolezza da parte della società privata del carattere temporaneo di questo affidamento, consigliandole allo stesso tempo di riassorbire i lavoratori – considerate anche le molte attività da lei svolte sul territorio regionale. A oggi non è ancora chiaro cosa succederà: ARES 118 sembra determinata nel voler concludere la procedura di affidamento alle Associazioni mentre il personale attualmente impiegato nelle postazioni prosegue le proteste, con l’appoggio di alcuni esponenti politici.
Restano comunque auspicabili un sollecito affidamento alle Associazioni di Volontariato delle postazioni coinvolte e, allo stesso tempo, la transizione a politiche regionali e aziendali che coinvolgano in misura sempre maggiore il Terzo settore, valorizzando lo stesso (con tutto il suo personale sia dipendente che volontario) e marginalizzando il ricorso a società profit.
Christian Ramacciani Isemann
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