Con Gli Occhi della Guerra: "In missione con i militari italiani"

Emergency Live sostiene il progetto “Gli Occhi della Guerra” un’iniziativa editoriale che vuole incrementare e sviluppare il reportage d’inchiesta, anche con il crowdfunding. Gli occhi della Guerra spinge il nostro sguardo verso quegli angoli di mondo e quelle tragedie che non possiamo o non vogliamo vedere. Nei reportage de “Gli Occhi della Guerra” appaiono non solo quelli che devono difendersi o vogliono attaccare altri esseri umani, ma anche quelli che corrono e soffrono per salvare vite; professionisti e volontari che mettono a repentaglio la vita nel prestare servizi di soccorso e di emergenza.

Questa settimana abbiamo deciso di riprendere un reportage del giornalista Fausto Biloslavo dal titolo “In missione con i militari italiani”.

DIGA DI MOSUL – I fanti dell’aria della brigata Friuli, veterani dell’Afghanistan, scattano sull’attenti sul bordo della pista, al passaggio degli ufficiali, con il saluto che ricorda gli antichi legionari. La missione Prima Parthica dei 1500 soldati italiani in Iraq prende il nome da una gloriosa legione, che si era spinta fino in queste terre ai tempi dell’impero romano.

La task force Praesidium ha il compito di difendere la grande diga di Mosul a soli 38 chilometri dal centro della “capitale” del Califfo stritolata dalla furiosa offensiva delle truppe irachene contro le bandiere nere. Per raggiungere l’opera strategica voluta da Saddam Hussein ci imbarchiamo su un elicottero Nh 90 dell’aviazione dell’esercito scortati da un Mangusta d’attacco. I mitraglieri sui portelloni aperti controllano di continuo il terreno. Sopra la diga i piloti sganciano i bengala prima di atterrare, che servono a deviare eventuali razzi o missili terra aria.

I bersaglieri del primo reggimento della task force Praesidium sono già pronti a muovere lungo il cerchio di postazioni che con 500 uomini garantisce la sicurezza della diga lunga 3 chilometri. E dei 2400 civili, compresi 300 italiani, che ci lavorano per puntellarla. L’opera sul fiume Tigri sta cedendo. Se il bacino di 9 milioni di metri cubi d’acqua esondasse il Vajont iracheno travolgerebbe non solo Mosul, ma pure la capitale, Baghdad, in sei ore.

Le postazioni sulle colline sono trincerate. Un bersagliere è piazzato con un missile controcarro dietro dei sacchetti di sabbia. “Il dispositivo italiano è integrato con le forze di sicurezza irachene all’esterno della base” spiega il generale Francesco Maria Ceravolo. E ci fa notare una colonna di mezzi italiani e dei Peshmerga, i combattenti curdi, che pattugliano assieme l’area al di là dei reticolati. Il vicecomandante della coalizione di 63 nazioni che combatte lo Stato islamico è l’unico autorizzato a parlare. Per ordine di Roma gli altri militari devono tacere e non si può nemmeno chiedere ai giovani bersaglieri cosa provano a difendere la diga ed in fondo a far parte di un piccolo pezzo di storia, che sarà ricordato come l’inizio della fine dello Stato islamico con la liberazione di Mosul.

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