Con Gli Occhi della Guerra: "L'inferno degli ospedali siriani"

Emergency Live sostiene il progetto “Gli Occhi della Guerra” un’iniziativa editoriale che vuole incrementare e sviluppare il reportage d’inchiesta, anche con il crowdfunding. Gli occhi della Guerra spinge il nostro sguardo verso quegli angoli di mondo e quelle tragedie che non possiamo o non vogliamo vedere. Nei reportage de “Gli Occhi della Guerra” appaiono non solo quelli che devono difendersi o vogliono attaccare altri esseri umani, ma anche quelli che corrono e soffrono per salvare vite; professionisti e volontari che mettono a repentaglio la vita nel prestare servizi di soccorso e di emergenza.

Questa settimana abbiamo deciso di riprendere un reportage del giornalista Sebastiano Caputo, dal titolo “L’inferno degli ospedali siriani”:

DAMASCO – Il conflitto siriano è un complesso mosaico di interessi economici e geopolitici ma è soprattutto la storia di giovani infermiere donne che medicano giovani soldati uomini che a loro volta si sono sacrificati per difendere il loro avvenire. Mano nella mano, uniti da un solo obiettivo: liberare la Siria dal terrorismo che da più di cinque ha creato il deserto laddove c’era la pace.

La guerra ha la capacità e la forza di trasformare l’approccio spirituale che solitamente ogni essere umano intrattiene con l’esistenza. Provate a chiedere ad un bambino di Aleppo, Homs o Damasco cosa vuole fare da grande. Risponderà entusiasta: “Il soldato!”. Da quelle parti non esistono le “popstar” perché gli eroi sono diventati i generali dell’esercito premiati da medaglie al valore, feriti o morti sul fronte. Ecco che improvvisamente giovani tra i 18 e 25 anni si sono ritrovati a condurre una vita che molti non avevano nemmeno immaginato. Alcuni di loro si sono lanciati in prima linea a combattere con le armi, altri invece hanno scelto di stare nelle retrovie, negli ospedali di guerra, per curare ogni forma di trauma.

Il ritratto di questa generazione in guerra è scolpito sui volti e nelle storie dei feriti ricoverati all’ospedale Youssef Al Asma di Damasco, il più grande del Paese dopo quello militare di Tishrin. La maggior parte di loro son soldati, ragazzi qualsiasi, partiti sul fronte per combattere una battaglia molto più grande e sporca di loro. Tra questi c’è Hussein al Shmen, ventitreenne, colpito sul fianco da un proiettile pochi mesi fa. È disteso sul lettino, paralizzato, avvolto in una coperta di lana. Il fratello più piccolo è seduto accanto per offrirgli conforto. “Salam”, dice a bassa voce, poi fa segno con la mano di avvicinarci. Improvvisamente tira fuori il cellulare mostrando una fotografia. “Ero a Deir Ezzor, è li che sono stato ferito”.

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