“Quando massaggi, pensa al cervello”. Perché dobbiamo pensare alla CPR in modo più esteso?

Da anni sappiamo che l’arresto cardiaco improvviso è una delle maggiori cause di morte nel mondo, e ne sono vittima centinaia di migliaia di persone ogni anno. Sappiamo anche che sono poche le azioni da mettere in pratica per salvare una vita: massaggio cardiaco precoce, defibrillazione precoce, attivazione dell’équipe ALS precoce.

La catena del soccorso però non si sta solo accorciando, chiedendo tempi sempre più rapidi di attivazione degli astanti e dei sanitari. Il mondo scientifico sta indagando un tema fortissimo, che è quello della qualità. Si tratta di un parametro che può davvero incrementare la sopravvivenza ottimale dei pazienti. La paura infatti che un arresto cardiaco in ambito extra-ospedaliero sia trattato fuori dai tempi massimi e con una qualità del primissimo intervento non adeguata c’è ed è forte. E’ su questo tema che si concentra la ricerca: esiste un parametro per valutare quanto un massaggio è adeguato? Esiste un parametro per valutare se la CPR arriverà a salvare una persona esattamente sana come prima, o con problemi sanitari da risolvere? Si, questo parametro c’è e si chiama perfusione cerebrale.

Sappiamo bene tutti che quando il cuore non batte il cervello non funziona. Ma se il massaggio cardiaco fornito al paziente non è adeguato, tutto diventa inutile. Si potrà far tornare a battere il cuore in qualche modo, con il defibrillatore. Ma il cervello che conseguenze avrà subito? Possiamo sapere o monitorare la quantità di ossigeno che è arrivata nella scatola cranica attraverso il sangue pompato dalle nostre compressioni?

I ricercatori in neurologia hanno indagato questi parametri nei pazienti sottoposti ad arresto cardiaco. Le ricerche sono ad uno stadio iniziale, ma sono molto rilevanti. Prima di tutto si sta notando che il paziente catatonico, che non risponde agli stimoli subito dopo il ROSC, ha sviluppi prognostici non incoraggianti, nonostante i mezzi clinici che i reparti di terapia intensiva e neurologia hanno a disposizione per mitigare queste prognosi. Si stanno facendo ancora molte indagini a riguardo (alcune anche in Italia) per capire meglio quali siano i rapporti e quali i tempi e i modi per decisioni difficili sui trattamenti di terapia intensiva post arresto. Ma quello che ci interessa davvero è il ruolo chiave del personale di emergenza, che da oggi dovrebbe porre massima attenzione alla high-quality CPR, ovvero un massaggio cardiaco che tenga conto della perfusione cerebrale. A parlarne durante il congresso ERC è stato il dottor Joe Holley, specialista di area critica a Memphis, Tennessee. Il dottor Holley ha voluto parlare e promuovere la conoscenza della perfusione cerebrale per fornire una CPR di alto livello.

Ma cos’è e come si rileva la perfusione cerebrale?

In modo semplicistico la perfusione cerebrale è la pressione che serve al flusso arterioso per irrorare tutte le parti del nostro cervello. Dato che la nostra scatola cranica è un sistema di protezione (molto complesso) vi basti sapere che per irrorare di sangue e ossigeno il nostro cervello, servono circa 15mmHg in meno rispetto alla pressione media del nostro corpo a riposo. Se un uomo ha quindi una pressione media di 100mmHg, serviranno solo 85mmHg di pressione per permettere al cervello di essere irrorato correttamente e di restare preservato fino all’arrivo di un’équipe ALS. Ma se nel cuore non c’è abbastanza sangue per raggiungere questa pressione? Se mentre sono in fase di rilascio, i polmoni richiamano aria e riducono il ritorno di sangue al cuore, quanto afflusso posso garantire? La sfida tecnologica si sta giocando su questi parametri e su questi dati.

“L’ultimo traguardo della ricerca è di garantire una sopravvivenza neurologica intatta alla fine di un arresto cardiaco – spiega il Dr. Joe  Holley – perché sappiamo bene che il cuore si può trapiantare, ma il cervello non possiamo sostituirlo”. Per raggiungere questo traguardo quindi “serve assicurare una buona qualità di perfusione cerebrale. Penso che nelle situazioni di arresto cardiaco sia fondamentale porre l’attenzione sui dettagli. Negli arresti cardiaci pre-ospedalieri bisogna essere certi di fornire al paziente un alto livello di perfusione con le compressioni, tramite una CPR di alta qualità per tutto il tempo, in tutte le condizioni. L’intervento dei sanitari e l’utilizzo delle tecniche sui pazienti devono essere aggiornati per incrementare il flusso sanguigno.

Che tecnologie si possono usare per incrementare la perfusione?
“Ci sono dei limiti alla perfusione che possiamo garantire in un paziente in arresto, soprattutto con una CPR standard. Possiamo migliorarla con dei feedback tools che rendono certo e verificato quello che stiamo facendo, garantendoci di fare il meglio per il maggior tempo possibile. Ma per garantire seriamente una migliore perfusione servono delle aggiunte alla CPR che aiutino a migliorare il flusso dal cuore al cervello per incrementare la sopravvivenza neurologica di tutti i pazienti”.

C’è qualcosa che possono fare i soccorritori per incrementare questo parametro?
“A mio parere, l’uso del ResQPOD è estremamente importante per aumentare la qualità della CPR che viene erogata al paziente. Con questo dispositivo, facendolo lavorare correttamente, fornisci compressioni di qualità. E il momento in cui si decide quante chance ha il paziente di avere un ritorno neurologico buono sono i primi minuti: prima possiamo aggiungere tecnologie simili nel trattamento dell’arresto cardiaco, migliori chances di outcome neurologico intatto avrà il paziente”.

Ma siamo pronti per avere anche sistemi di CPR meccanici per first responder e soccorritori che non fanno parte di team ALS?
“Non credo  che sia una questione da porre per chi fa il primo intervento, l’astante. E’ di vitale importanza che si faccia fin da subito un massaggio sul paziente. Bisogna dire che anche facendo un massaggio fatto bene, possiamo generare al massimo il 25%, 30% di flusso sanguigno rispetto a quello che arrivava al nostro cervello.  L’idea di mettere nelle mani del first responder qualche tipo di tecnologia che incrementi il flusso generato nella CPR è importante per la sopravvivenza del paziente e per l’intervento sanitario. Il fatto di avere qualcuno che subito entra in gioco e garantisce buona sopravvivenza fino all’arrivo delle tecnologie avanzate è certamente il primo benefit nell’avere astanti preparati alla CPR”.

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