Scontri e conflitti tra pronto soccorso e medici di base

Rappresentano i pilastri di ogni struttura ospedaliera ma spesso sono in continua lotta tra di loro. Parliamo del pronto soccorso e dei medici di base

Problemi e divergenze tra pronto soccorso e medici di base sono all’ordine del giorno all’interno di una struttura ospedaliera. Capire le cause e i motivi di questa “guerra” è il primo passo per poter sconfiggere.
Con questo proposito, la Federazione italiana medicina emergenza catastrofi (FIMEUC) ha effettuato, per l’Adnkronos Salute dalla Società di medicina emergenza urgenza (SIMEU) una ricerca che ha preso in esame l’attività dei pronto soccorso degli ospedali lombardi, laziali e campani.

Dalle dozzine di storie di ordinario disservizio raccolte emergono alcuni concetti:

– L’affollamento dei pronto soccorso non è un problema organizzativo dei reparti di emergenza, ma dell’ospedale. Se la struttura non può accogliere un paziente, questo per forza rimane in pronto soccorso sulla barella, determinando come effetto domino un rallentamento di tutte le attività e perfino del sistema di emergenza preospedaliero del 118

– Queste estenuanti attese in pronto soccorso sono il risultato di politiche miopi. Non sono stati attivati i posti letto di osservazione breve nei presidi ospedalieri sede di primo soccorso. I pazienti in attesa di ricovero sostano sui lettini di pronto soccorso che, occupati impropriamente, non possono essere disponibili per accettare nuovi pazienti che arrivano con le ambulanze del 118

– Il fenomeno delle attese eterne non riguarda solo le regioni del Sud e del Centro del Paese

– Non sono solo i malati a dover pazientare. A rimanere ‘bloccati’ in pronto soccorso spesso sono anche i mezzi del 118 per la mancanza di lettini liberi disponibili per ‘sbarellare’ i pazienti.

– Per ridare ossigeno ai pronto soccorso, gli specialisti dell’emergenza hanno indicato una serie di misure da adottare:

– Migliorare l’efficienza complessiva degli ospedali, garantendo il ricovero nel reparto più appropriato entro 12 ore massimo 24

– Garantire livelli essenziali di assistenza il più vicino possibile al domicilio del paziente e ai familiari; passare da un modello sanitario centrato sull’ospedale a uno più orientato verso il territorio e i bisogni del cittadino

– Porre maggiore attenzione alla formazione del personale dei reparti di emergenza, che dovrebbe avere un organico ad hoc, con medici formati per questa specifica attività, non medici a rotazione, con camici bianchi magari di altri reparti che ruotano in pronto soccorso senza alcuna preparazione o peggio medici ‘a gettone’, vale a dire camici bianchi precari, che prestano servizio magari per una notte o due

– Creare posti letto di osservazione negli ospedali sede di pronto soccorso, e posti letto di medicina d’urgenza dove gli accessi di pronto soccorso superano i 50mila l’anno

– Attivare immediatamente strutture polifunzionali della salute per contenere il ricorso inappropriato all’ospedale, e riorganizzare la rete dell’emergenza per le tre patologie gravi più diffuse: infarto, ictus e trauma.

Maria Antonietta Bressan, presidente Simeu della Lombardia ha affermato:
“L’elevato numero di pazienti che si rivolge alle strutture di pronto soccorso è alto in quanto il cittadino vuole risposte tempestive, adeguate e ottimali al proprio bisogno di salute. Il paziente vede nel pronto soccorso un faro sempre acceso, 24 ore su 24 e tutti i giorni dell’anno, anche e soprattutto quando altri servizi sul territorio sono chiusi e non rispondono alle domande dei cittadini (vedi poliambulatori, distretti, presidi, etc.) in particolare sabato e domenica e nei periodi festivi e dei ponti”.

Più aggressive le parole del presidente nazionale della Simeu, Fernando Schiraldi:
“La vera soluzione possibile è quella di costringere le strutture del territorio (medici di base, ambulatori Asl, guardia medica) a lavorare di più e ad assumersi maggiori responsabilità. In molti Paesi europei i medici del territorio lavorano di più e delegano meno all’ospedale”. “Siamo pronti a rispondere alle esigenze della medicina del territorio. Vi sono tra i 5 e i 10mila medici di famiglia pronti a organizzarsi in maniera avanzata, in una rete, per fare da filtro ai codici bianchi e verdi e alleviare i problemi di sovraffollamento dei pronto soccorso del nostro Paese”.

Claudio Cricelli, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG), respinge con forza l’accusa mossa dalla SIMEU (Società Italiana di Medicina d’Emergenza Urgenza).
“Non si può affermare che una della cause delle attese infinite e dei boom di accessi nei reparti di emergenza dei nostri ospedali è rappresentata dalla scarsa voglia di lavorare dei medici di famiglia, che, secondo la SIMEU, dovrebbero assumersi maggiori responsabilità. L’organizzazione dell’ospedale non è assolutamente sovrapponibile a quella delle cure primarie. E per aprire un ambulatorio 7 giorni su 7 occorrono le risorse. La nostra categoria è quella che affronta i carichi di lavoro più pesanti dell’intera sanità italiana. Come emerso dall’ultimo rapporto Health Search promosso dalla SIMG infatti ogni medico di medicina generale esegue in media 30 visite al giorno.
Il problema è da ricercare nell’arretrata organizzazione sanitaria del nostro Paese.

Nel piano sanitario nazionale 2011-2013, per la prima volta, è stata riconosciuta la centralità delle cure primarie. Noi mettiamo a disposizione le nostre capacità, a patto però che le risorse che il Ministro ha allocato alle Regioni siano poi utilizzate per finanziare queste iniziative”.

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