Sport e soccorso a bordo campo. Professionisti super sorvegliati e dilettanti più a rischio. In Italia la sicurezza non è sempre garantita

Siamo un popolo emotivo, si sa e ci appassioniamo alle questioni più che altro quando i casi di cronaca hanno il sopravvento. Quando l’anno scorso Piermario Morosini è morto, i tre defibrillatori a disposizione, due a bordo campo e uno in ambulanza, non sono stati utilizzati. Ci si è chiesti se il giocatore potesse essere salvato.

Come confermato dai soccorritori, 10′ di convulsioni hanno separato la vita di Morosini dalla morte. Se fossero state eseguite procedure ad hoc, il destino del calciatore sarebbe stato diverso? Le indagini sono tuttora aperte, ma il vero tema è la regolamentazione per la rianimazione per gli arresti cardiaci in campo, il rispetto dell’obbligo dei defibrillatori negli stadi e dunque l’applicazione delle norme a fare la differenza.

 Una legge esiste, ma è una legge a metà. Se per il calcio i DAE sono richiesti per poter giocare una partita e lo prevedono i piani sanitari delle società calcistiche, è il volontariato che ha portato questo strumento nelle manifestazioni sportive.

Dal marzo 2011, un decreto dei ministeri della Salute e dell’Economia regolamenta la diffusione degli apparecchi e promuove la realizzazione dei programmi regionali.  A tutt’oggi però manca una mappatura ufficiale sul numero e la distribuzione dei defibrillatori in Italia, che sembra si attestino sulle 6mila unità, per lo più distribuiti in modo disomogeneo e sempre grazie ad associazioni onlus e di volontariato. Lontano quindi dagli standard auspicati che prevederebbero 5mila DAE per 5milioni di abitanti tanto più che le regioni sono ancora in attesa dei finanziamenti per realizzare il progetto.

I buoni propositi non mancano: nel settembre 2012 il Ministro Balduzzi, allineandosi a quanto già è prassi in diversi stati americani e in molti paesi europei, ha firmato un decreto legge affinché le società sportive sia professionistiche che dilettantistiche si dotino di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita, estendendone la presenza a tutti i luoghi pubblici. Resta da pianificare l’organizzazione dei corsi tramite le Asl, il 118, le Associazioni di volontariato per insegnare l’uso del DAE al più alto numero di persone, non solo addetti ai lavori, ma gente comune che nel tempo dev’essere messa in condizione di poterlo usare correttamente. Nei paesi scandinavi il 70% della popolazione è in grado di maneggiare senza alcun problema un DAE. In Italia, la percentuale si abbassa vertiginosamente, attestandosi sul 5%.

Contemporaneamente all’emanazione della legge, in occasione del XXXII° Congresso di Medicina dello Sport, a Roma è stata annunciata l’introduzione del match doctor, una figura esterna alla società sportiva che potrà intervenire per le emergenze, come in caso di concussione cerebrale. Il match doctor dovrà essere affiancato da 2 infermieri e 8 soccorritori; il tutto dovrebbe entrare in vigore per la Serie A entro la fine del 2013.

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