Corpo civile di pace per le zone di guerra, la proposta della ass. Papa Giovanni XXIII

Da 12 anni sono lì, dove piovono le bombe, dove cresce l’intolleranza e dove l’odio etnico e umano fra israeliani e palestinesi sta generando morti continue da più di sessant’anni. Stiamo parlando della Comunità Papa Giovanni XXIII, che alla luce della nuova guerra israelo-palestinese (ma sarebbe più corretto dire Guerra israeliana contro Gaza) vuole che cambi qualcosa, per non continuare a vedere le promesse di un futuro di pace essere seppellite dalle macerie, dal sangue e dal dolore. Al quotidiano Vita il responsabile del gruppo Giovanni Ramonda ha rilasciato un’intervista in cui chiede che il governo italiano si impegni per «promuovere l’intervento di un corpo civile di pace internazionale nonviolento nei Territori Palestinesi».

La pace secondo Ramonda è possibile. Lo è perché da 12 anni insieme ai volontari dell’associazione sono presenti sul territorio palestinese, fra la striscia di Gaza e la città contesa di Hebron, dove il corpo civile volontario dell’Operazione Colomba scorta i bambini palestinesi a scuola, per evitare che vengano linciati e lapidati dai coloni israeliani che hanno occupato larghe parti del territorio spettante all’entità virtuale della Palestina. Virtuale perché a Hebron la città è divisa in blocchi da grate e passaggi, che impediscono anche al sole di arrivare fino a terra senza essere rigato dall’acciaio.

«In nessuna situazione si può ragionare con la categoria della vendetta. Quella della violenza e delle armi è una strada già battuta, inutile e deleteria: mai attraverso queste sarà possibile costruire la pace» spiega Ramonda. Per Palestina e Israele serve un copro civile di pace, non un corpo militare. «Il governo italiano in forza del suo attuale ruolo internazionale, si deve impegnare seriamente per promuovere l’intervento di un corpo civile di pace internazionale nonviolento nei Territori Palestinesi».

 

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