Perché DEVO rianimare? Il fine vita, scienza, coscienza ed etica

lady-and-the-reaper-charactersArticolo di: Dr. Angelo Giusto MD – Medico dell’Emergenza

FINE VITA : UNA PREMESSA (COSE CHE ACCADONO TUTTI I GIORNI A TUTTI I SOCCORRITORI)

Una chiamata “delle solite”…

Il Mezzo di Soccorso Avanzato viene inviato presso il domicilio di una Paziente molto anziana, allettata, che apparentemente ha smesso di respirare.

All’arrivo dei Sanitari, la vecchina è deceduta: nessuna attività cardiaca, nessuna attività respiratoria.

La Paziente appare allettata da tempo, affetta da molteplici patologie.

Neanche i Volontari della Pubblica Assistenza presenti sul posto, generalmente “prodighi” di tentativi di rianimazione, stanno facendo nulla.

La situazione, è evidente.

La nostra vecchina è deceduta.

Mi appropinquo verso i numerosi parenti, per “ufficializzare“ l’avvenuta dipartita della signora, pensando che quanto avvenuto fosse evidente, ma così non è.

“Ma io sono un avvocato!!!”

La prima domanda che un energico signore mi pone, in modo piuttosto burbero, venendomi incontro, è “Ma non fate niente”???

Tento di cominciare il discorso, prendendolo “alla lontana”, riferendomi allo stato di salute, all’età, alle condizioni della Paziente, ma… ecco che arriva la seconda domanda, da parte dello stesso tipo: “Ma non provate con niente? Nemmeno con la SCOSSA?!?”.

Raccolgo qualche briciola di pazienza (sono noto per averne poca, generalmente), e tento di spiegare agli astanti che cos’è e a cosa serve la “SCOSSA” che vedono spesso nei telefilm, quando – stavolta –  non è una domanda ad interrompermi, ma un’affermazione, sempre da parte dello stesso tipo: “Ma io sono un avvocato!!!”.

Razionalizzo qualche frazione di secondo, afferro la sua mano destra in una stretta cordiale e lo omaggio di un “Molto lieto, Angelo Giusto, laureato in Medicina e Chirurgia. Ora che abbiamo sottolineato le rispettive competenze accademiche, posso continuare a fare il mio lavoro?”.

Nella stanza, piuttosto ampia e piuttosto affollata, cala il gelo.

Alla mia infermiera, anche la mandibola…

RIANIMARE o vendere biglietti della lotteria?

La definizione della parola “rianimare”, nella lingua Italiana, recita “Far rinvenire qualcuno, restituirgli forza, infondere coraggio, sollevare”.

Deriva dal latino re-suscitare, ovvero “risvegliare, togliere dal torpore”.

Più articolata, la definizione del termine in senso prettamente medico: “Insieme di interventi con cui si cerca di ristabilire le funzioni vitali (specialmente quelle cardiaca e respiratoria) cessate o fortemente attenuate; Serie di pratiche terapeutiche intese a recuperare la funzione cardio-respiratoria venuta gravemente meno e a rimuovere la condizione di morte apparente”.

Addirittura dubbia la definizione della dottissima Treccani: “Finora una definizione completamente soddisfacente del concetto di rianimazione non è stata data, fors’anche perché non v’è accordo tra gli studiosi sui compiti specifici di questa disciplina: alcuni, infatti, li allargano in modo eccessivo, altri li limitano strettamente all’intervallo tra morte clinica e morte biologica. Secondo quest’ultima concezione, il campo della rianimazione dovrebbe quindi essere ridotto allo studio esclusivo dei problemi connessi con il cosiddetto “risveglio dalla morte”.

Treccani stessa riferisce l’atto rianimatorio come la parte più eroica della Medicina di Emergenza!

Alcuni anni fa ebbi a scrivere un abbastanza controverso lavoro sulle decisioni di fine vita, recentemente ripreso da questo stesso blog, in cui fondamentalmente mi ponevo la domanda del “Perché rianimare”, inteso come “Quando fosse necessario iniziare le manovre di rianimazione, e quando eventualmente sospenderle”.

Prendendo spunto dal fatto narrato in apertura, di cui tanti di noi avranno molteplici varianti da raccontare, il punto diventa: “Perché DEVO rianimare”, ovvero “Perché mi devo sentire costretto, o invitato, ad iniziare una rianimazione, anche quando sono perfettamente consapevole e convinto della sua inutilità?”.

Rianimare NON è vendere biglietti della lotteria, NON è il DOVER garantire un’ultima chance a tutti i costi e a tutti i Pazienti.

Non può e non deve divenire un atto routinario da applicare a tutti i Pazienti in arresto cardio-respiratorio, solo e soltanto perché si temono conseguenze disciplinari, controversie legali o addirittura richieste di risarcimento!

Aspetti umani, sociali e relazionali della rianimazione

E’ certamente difficile, per i “non addetti ai lavori”, anche sanitari, comprendere a fondo le dinamiche ed il significato di

  1. Decidere
  2. Effettuare
  3. Terminare una rianimazione

Bisogna essere quotidianamente impegnati, in questo senso, nella gestione e comprensione del quadro clinico di pazienti che volgono dal critico all’estremamente critico.

A ciò fa contorno, ed è un tutt’uno con il Paziente stesso, l’ambiente che lo circonda: i sanitari con le loro dinamiche, i differenti punti di vista, la routinarietà del lavoro; i familiari ed i parenti, con i differenti livelli di “comprensione” della malattia, le loro speranze, le angosce, le paure; gli aspetti “tecnici”, morali, etici e medico-legali di una professione che è sempre più difficile da svolgere.

La comunicazione dell’avvenuta morte, del “non c’è più niente da fare”, frase che viene ancora pronunciata, anche se sempre più di rado, perché nessuno accetta più che non si faccia più nulla per un proprio congiunto.

Fine vita. Quando-se-come rianimare??? Il pensiero di alcuni “grandi”

Già molti anni or sono, alcuni pionieri della rianimazione, si espressero in modo piuttosto netto in merito agli aspetti relativi al se/quando/come iniziare o terminare una rianimazione.

Il primo parere illuminante possiamo riscontrarlo nel pensiero di M. L. Bozza e O. Damia, tra i fondatori della Scuola Anestesiologica italiana, negli anni ’50: “È ovvio che ogni tentativo di rianimazione è vano, e non deve neppure essere tentato, nei casi che giungono al cedimento delle funzioni vitali alla fine di un iter patologico, acuto o cronico, ma per una prognosi infausta: neoplasie, malattie cardiovascolari e/o polmonari progressive, insufficienze globali di origine degenerativa o infiammatoria di parenchimi nobili quali il fegato o il rene, e via dicendo“.

Secondo Vladimir Negovskj, padre della moderna rianimazione, che fu Direttore dell’Istituto di Rianimazione dell’Accademia delle Scienze di Mosca durante gli anni ‘50/’60, che pure fu tra i più interventisti tra tutti i rianimatori, “La rianimazione è opportuna e ha un fondamento solo quando è possibile un completo ristabilimento delle principali funzioni vitali dell’organismo nel suo insieme, cioè il ritorno alla vita dell’uomo come persona.

Se l’interruzione della circolazione è stata prolungata, soprattutto se è stata preceduta da un logorante processo di estinzione, le modificazioni degenerative che si sviluppano nei tessuti più differenziati e vulnerabili, come la corteccia cerebrale, riducono praticamente a zero tutti gli sforzi del rianimatore“.

Röttgen nel 1966 sosteneva che “Una vita non corticale contraddice l’essenza stessa dell’esistenza umana” e due anni dopo K. Simpson scriveva: “Si possono mantenere in vita i tessuti all’interno di un organismo, come lo si può fare in una coltura in vitro, ma ciò non significa che l’individuo sia vivo

Molto incisivo il pensiero di Lambruschini (1969): “In contrasto con la dottrina semplicistica secondo cui val meglio vivere deforme che non esistere, preferiamo attenerci al principio che, se non si deve far nulla per abbreviare direttamente una vita umana, si possono omettere delle cure eccezionali per prolungare la vita in condizioni particolarmente penose.

Non si tratta di cinismo, ma di un sano realismo ispirato alla saggezza. I trattamenti eroici meritano sempre l’ammirazione, ma non si può sempre imporli“.

Il Comitato speciale per la rianimazione dell’Accademia Nazionale delle Scienze statunitense ha raccomandato di “Non dare inizio al ristabilimento dell’attività cardiaca e della respirazione se è noto, o può essere accertato con sufficiente grado di attendibilità, che l’arresto del cuore è durato più di 5-6 minuti“.

Quindi, appare evidente, da molti anni e sentiti alcuni pareri autorevoli, l’inutilità dei tentativi di rianimazione nei casi in cui sia già nota, in partenza, l’inutilità delle manovre da porre in atto.

Ad oggi, invece…

Mentre appare ovvio che si debba iniziare tempestivamente e con il massimo degli sforzi una rianimazione efficace in un Paziente traumatizzato, o vittima di un infarto del miocardio, o in un folgorato, o in un assiderato, appare a questo punto altrettanto ovvia la verosimile inutilità di uno sforzo rianimatorio applicato su di un Paziente neoplastico, o già gravemente defedato, o che si presenta incontrovertibilmente al termine della propria vita, come la nonnina di cui abbiamo narrato in apertura.

Mentre il teologo J. Fletcher ci sottolinea quanto sia pericoloso voler mantenere in vita o tentare di prolungare la vita del Paziente ad ogni costo, “perché qualcosa può sempre succedere, e qualche nuovo rimedio si può sempre trovare: una nuova scoperta scientifica, o un miracolo”.

Fletcher stesso attribuisce la maggio responsabilità di ciò proprio a quei Medici, o meglio a quella “aggressiva, quasi paranoica mentalità propria di molti medici“.

Ad oggi, resta di una freschezza sorprendente il pensiero di Negovskj, che già nel 1971 (ricordiamoci per favore di come corre il tempo per la Scienza!) affermava che “La rianimazione di un adulto che ha superato una prolungata morte clinica dopo un lungo periodo di logorante estinzione, porta soltanto al ristabilimento dell’attività cardiaca e della respirazione. L’individuo rianimato rimane decorticato; la rianimazione perde, quindi, il suo significato. La medicina moderna non persegue affatto il fine di moltiplicare il numero di preparati cuore-polmoni decerebrati“.

Fine vita, conclusioni (ce ne sono?). Ancora una volta… scienza, coscienza ed etica

L’incessante e straordinariamente dinamico progredire della tecnologia, e di pari passo del pensiero scientifico, non può determinare un ritorno “a tutti i costi” ad una rianimazione fatta a tutti e per sempre, “perché qualcosa di nuovo si può sempre trovare” (lasciamo stare i miracoli).

Vita e morte non sono eventi, ma rappresentano due momenti dell’inizio e della fine di un processo biologico che caratterizza ogni essere vivente.

Lo insegnano a scuola, alle elementari. “L’essere vivente nasce, si alimenta, cresce, si riproduce, e muore”.

Il Medico non è arbitro delle funzioni vitali dell’Uomo quale essere vivente.

Il Medico non è dotato di ulteriori buoni-vita da staccare alla bisogna, e di ri-donare-anima a chi purtroppo non l’ha più!

Il Medico può, anzi deve, iniziare una rianimazione cardiopolmonare qualora ragioni, in termini di scienza e coscienza, che ci siano gli estremi e gli spazi di manovra per tentare di ridare al paziente una possibilità per una sopravvivenza dignitosa.

Il medico deve però essere lasciato libero di poter scegliere, sempre in scienza e coscienza e soprattutto senza timori, imposizioni o minacce anche velate, quando non iniziare o proseguire una rianimazione cardiopolmonare.

Ad ultimo, riporto questa bella citazione che ricordo, ma di cui purtroppo non ricordo la provenienza: “Il dovere supremo di ogni medico, rianimatore e non, è il rispetto della vita umana; egli deve pertanto assicurare al paziente non solo la salvaguardia delle sue funzioni organiche, ma anche l’integrità della sua personalità”.

 

 

Bibliografia
Baker, A. B., Artificial respiration, the history of an idea, in ‟Medical history", 1971, pp. 337-351;
 Ciocatto, E. et al.Trattato di rianimazione, Torino 1969;               
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 Filley, G. F., Pulmonary insufficiency and respiratory failure, Philadelphia 1968;     
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 Giusto A. “Vita, rianimazione, fine vita: medicina difensiva, accanimento o “perdita della mission”? Alcune riflessioni da parte di chi si sente un po’ disorientato”; Emergency Oggi - Febbraio 2010, pagg. 10-20;       
 Hawkins, L. H., The experimental development of modern resuscitation, in ‟Resuscitation", 1972, I, pp. 9-24;   
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 Zaffiri, O., Principi di rianimazione metabolica, Torino 1979;

 

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Angelo GIUSTO, Medico dell’Emergenza, è nato a Savona nel 1969.
Ha frequentato un Master in “Pronto Soccorso ed Emergenze Pediatriche” presso l’Istituto “G. Gaslini” di Genova. Ha partecipato alla 2° Edizione del “Neonatal Intensive Care” presso la Scuola Internazionale di Scienze Pediatriche presso la Fondazione “Gaslini International”.

Certificato BLS-D, ACLS, PBLS-D, PEPP, ITLS, PEDIFACT’S, ECx2, ATLS, EMD provider, BLS-D, PBLS-D, PEPP, ITLS e PEDIFACT’S Istruttore. E’ abilitato al volo sanitario su mezzi ad ala fissa e rotante.

Si occupa di formazione per i V.d.S. CRI,  così come per numerose altre Associazioni di Volontariato del Soccorso Sanitario.
Fa parte del Comitato Scientifico PEPP – Italian Chapter, ed è referente per la Liguria per i corsi PEPP.

Ha pubblicato “Appunti di Primo Soccorso” e “Manuale di Primo Soccorso”, linee-guida per Aspiranti V.d.S. CRI, e numerosi altri articoli sempre relativi all’emergenza sanitaria pre-ospedaliera. Ha curato l’edizione Italiana del Manuale “PEPP – Pediatric Education for Pre-Hospital Professionals”.

Web-Master del sito “SavonaEmergenza” (online dal 1999), collabora con il sito Farmasalute, con la Rivista Online “Emergency-Live”, e con altre pagine web relative all’emergenza sanitaria.

Attualmente si occupa con particolare attenzione della medicina di emergenza pediatrica e neonatale  nell’ambito del soccorso extraospedaliero. Si è occupato dello studio e della pianificazione dei soccorsi nel contesto di catastrofi e maxi-emergenze. E’ stato Pre-Hospital Disaster Manager per il servizio presso il quale lavora.

Ufficiale Medico del Corpo Militare C.R.I., ha acquisito la qualifica di Insegnante Militare di area sanitaria.

Medico della Marina Mercantile Italiana, abilitato da Concorso dello Stato (2009).

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