Velocità in emergenza. Perché rovinarsi la vita? una storia che vi farà piangere e riflettere

Testo di: Rommel Jadaan, medico, Specialista di Medicina Interna e di Medicina d’urgenza SUEM 118, Crespano del Grappa. Dal Libro "Gli Scandali del 118"

Fino ad ora, nella mia carriera nel soccorso, ho già perso 2 medici-colleghi e 6 infermieri.

Klaus, 42 anni, anestesista di Francofort, padre di due bambini;
Sabine, 26 anni, una collega che stava finendo la sua specializzazione in chirurgia;
Werner, 31 anni, infermiere bravissimo giocatore di volley e bravissimo mago (sapeva dei trucchi davvero fantastici);
Thomas, 25 anni, infermiere appena diventato papà;
Markus, 26 anni, DJ delle feste;
Jutta, Matthias e Thorsten, tre infermieri rimasti feriti gravemente a causa dell’alta velocità a cui viaggiavano sia i mezzi di soccorso che i mezzi in circolazione in cui si sono imbattuti per arrivare, il più rapidamente possibile, da alcune emergenze che non avrebbero comunque avuto gravi conseguenze, se si fosse tardato un po’.
Nell’eliosoccorso ho lavorato per sei anni. Quest’esperienza mi ha dato la possibilità di vedere la bellezza della nostra terra dal cielo: i laghi, le colline, le montagne innevate…stupendo. Dall’alto potevo vedere anche tutte quelle migliaia di auto, nelle strade, nelle autostrade…ognuna di loro avrà una storia, ognuna di quelle persone all’interno delle vetture, sta andando da qualche parte, portando con sé la sua vita, i suoi sogni, i suoi problemi… Mi dava la sensazione di essere davvero piccolo!

Il soccorso con l’elicottero, ha tre immensi vantaggi rispetto a quello con l’ambulanza:
– Arrivi velocemente dal paziente e arrivi velocemente all’ospedale;
– Vedi da sopra il luogo in cui devi intervenire e puoi analizzare la dinamica dell’evento (ad es. nel caso di incidenti stradali, usando il cannocchiale si può vedere quale airbag è scoppiato, se ci sono persone catapultate fuori e quale sia il posizionamento dei feriti), così atterrando hai già un quadro della situazione;
– Non buchi, non trovi code, cantieri, ecc.

Era settembre, una bellissima giornata di fine estate, con gli alberi di un colore verde intenso, il cielo fresco e chiaro. Era una giornata perfetta per gli interventi in elicottero.

Volavamo per un intervento in codice rosso, per un sospetto infarto cardiaco. La centrale operativa ci ha chiamato solo come appoggio all’ambulanza, visto che eravamo già da quelle parti. Non avevamo fretta, perché, nel caso l’ambulanza fosse già arrivata ed il medico ci avesse segnalato che non era necessario l’atterraggio, avremmo continuato il nostro volo.

Infatti, l’abbiamo vista avvicinarsi dalla strada sottostante.

Tutti i piccoli che abitavano in campagna, facevano allegri cenni di saluto con la mano verso il nostro elicottero… ho tentato di ricambiare il loro saluto ma, da così lontano, non potevo certo pretendere che loro mi vedessero. Mi ha colpito molto una di loro, con una camicetta rosa fluorescente; impugnava stretto stretto il suo passeggino con la bambola, quasi per non farla volare via con tutta quell’aria provocata dal nostro elicottero. L’ambulanza, intanto, là sotto, correva all’impazzata per quelle strade strette della campagna ed io, parlando attraverso le cuffie al pilota ed al tecnico, ricordavo quanta paura mi facesse quella velocità, perché nemmeno con i migliori freni del mondo, nessun autista riuscirebbe a frenare in tempo per qualsiasi evenienza.

Il pilota ha girato un pochino verso sinistra, l’ambulanza è entrata in paese dalla strada principale.

Io, guardavo con il binocolo e calcolavo dall’alto gli ultimi 300 mt.: la scuola materna, la chiesa, il parco giochi…. “mamma mia, spero che l’ambulanza rallenti prima di arrivare lì” pensavo. Volevo addirittura far chiamare l’autista dal tecnico dell’elicottero, per avvisarlo di andare un po’ più piano (in maniera diplomatica, naturalmente, visto che per lo più si arrabbiano ed incominciano a insultare “quegli arroganti” che stanno in elicottero!). C’erano bambini lungo la strada … c’era anche quella piccolina dalla camicetta rosa fluorescente, che cercava di attraversare la strada per ritornare a casa. Guardava a destra e a sinistra, come i poliziotti insegnano ai bambini tedeschi fin dall’asilo e poi di nuovo a destra e, se non si è sicuri, si deve attendere ancora, continuando a guardare.

Tutto ciò che è successo da quei secondi in poi, è stato più veloce di ciò che un cervello umano possa calcolare: ho chiesto al tecnico di chiamare immediatamente l’ambulanza e l’ho fatto con un’ansia tremenda e con una crescente tachicardia. Solo allora ho capito che, anche se l’ambulanza avesse frenato nello stesso istante in cui avevo chiesto al tecnico di alzareil telefono, sarebbe stato troppo tardi per evitare l’impatto.

Ho posato il binocolo ed ho visto ad occhio nudo, come il piccolo corpo di quella bambina venisse sbalzato in aria ad una distanza di circa trenta metri… trenta metri lontana dalla sua bambola, che ancora dormiva beata nel passeggino.

La piccola dalla camicetta rosa fluorescente, è morta sul colpo all’impatto col mezzo, mentre il passeggino con dentro Helen, è rimasto fermo al suo posto, anche dopo il nostro atterraggio, come per dimostrare alla sua piccola padroncina, che non serviva preoccuparsi tanto per il vento causato dall’elicottero.

Non Vi racconterò, in questa sede, tutti i dettagli dell’intervento; solo Vi basti pensare, che si è trattato più che altro di un intervento di sostegno psicologico per tutte le altre persone coinvolte e per coloro che si trovavano a passare di lì per caso. Fortunatamente, il mio pilota non era riuscito a vedere la scena, perché, per una piccola distrazione, il bilancio delle vittime avrebbe potuto essere addirittura più elevato.

I due infermieri sono stati portati via in stato di schock con altre due ambulanze, mentre noi siamo stati avvisati, che il meteo stava cambiando velocemente e dovevamo fare subito ritorno alla base, in quanto la visibilità sarebbe stata molto ridotta tra breve tempo. Il mio turno sarebbe terminato tra circa due ore e l’elicottero avrebbe dovuto rientrare con urgenza: ho chiesto al pilota di ripartire da solo. Volevo fermarmi lì, con quei genitori, che nessuno più, in vita, avrebbe mai saputo consolare. “Siamo a 150 km. da casa” mi ha detto il tecnico, “come vuoi fare per rientrare?”. Non ho risposto, ho salutato e sono andato via.

Il paziente con il dolore toracico per il quale l’ambulanza era stata allertata qualche tempo prima, aveva spaccato legna tutto il giorno ed accusa dolori di tipo muscolare. Gli infermieri trasportati in ospedale hanno smesso quel giorno di prestare servizio di emergenza e tutti e due
(uno di loro ha una bimba di due anni) continuano ad essere in terapia psichiatrica.

La notte l’ho trascorsa assieme ai genitori della piccola, a molti dei suoi parenti e ad alcune persone del paese cercando, con il mio silenzio, di poter essere d’aiuto e di chiarire qualsiasi domanda e spiegando loro, che la loro bambina non aveva avuto il tempo di provare dolori, essendo morta immediatamente all’impatto.

La mattina dopo, in borghese, il pilota ed il tecnico, sono venuti per riportarmi a casa. Ho promesso che sarei tornato lì per il funerale, due giorni dopo ed ho chiesto di poter portare anche Helen, la bambola della piccina e di poterla appoggiare di fianco a lei al cimitero…. E così ho fatto!
Possiamo metterci a discutere per altri cento anni, se la fine della piccola con la camicetta rosa fluorescente, sia stata decisa dal destino o dall’incoscienza degli altri, fatto sta che, tutti noi, possiamo e dobbiamo imparare qualcosa da queste tragedie: chi va per strada, per lavoro o per questioni private, deve assumersi tutte le responsabilità del caso e cercare di pensare anche agli altri, oltre che a se stesso ed ai propri passeggeri.

Per me, dopo anni passati a cercare di salvare vite umane sulle strade, non vale mai la pena correre, nemmeno per chi viaggia in ambulanza verso un’emergenza. Certo, in alcuni casi vale ogni minuto in meno e sicuramente, in alcune situazioni si può valutare se accelerare un po’ di più, ma nella maggior parte delle uscite, anche arrivando 4-5 minuti più tardi, non viene modificata la prognosi complessiva del paziente. “Un soccorritore morto non serve a nessuno”, cosiccome “ uccidere per andare a soccorrere, non è giusto”.

Cerchiamo di auto convincerci, quando saliamo in macchina, che nelle strade dei paesi, strette e trafficate, possano uscire persone
inaspettatamente, animali che sbucano da un giardino, bambini che rincorrono una palla…
Viaggia e cerca di pensare a tutto ciò che può succedere durante il tuo viaggio: aspettati l’inaspettato e vedrai che non premerai più quel piede sull’acceleratore. Tu sei il responsabile di te stesso e di chi è in auto con te!

 

 

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