Di Pronto Soccorso, di vizi e di virtù. Cosa può migliorare con la riforma?

Come funzionerà il Pronto Soccorso dopo la riforma? Cosa serve davvero per interfacciarsi con una domanda di sanità d’emergenza radicalmente diversa da quella di vent’anni fa?

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Christian Ramacciani Isemann, infermiere di dipartimento emergenza-urgenza presso la USL Toscana sud-est, e apriamo il dibattito. I vostri contributi sono importanti e questa discussione non potrà che fare bene al mondo dei servizi pre-ospedalieri e di Pronto Soccorso. 

 

Da qualche giorno è tutto un gran parlare del documento sui pronto soccorso partorito dalla Conferenza Stato-Regioni. Occhi poco attenti hanno focalizzato l’attenzione su un singolo aspetto, quello che indica i tempi di accesso alle aree di trattamento rispetto ai singoli codici di priorità: un’attenzione ingenua e superficiale che ha avuto delle letture estremamente critiche da parte della popolazione e, purtroppo, anche dei professionisti (anche, purtroppo, di quelli impegnati quotidianamente nei servizi di emergenza-urgenza). In realtà i documenti sono tre e riguardano aspetti critici ed essenziali dei pronto soccorso di oggi:

  • Il triage;
  • L’osservazione breve intensiva;
  • Il sovraffollamento.

Nello specifico il primo documento, quello sul triage, rende finalmente giustizia a quella che è la vera e propria “cabina di regia” dei pronto soccorso. Individua obiettivi, modello di riferimento e metodologia, con le quattro fasi: first look, valutazione, decisione e rivalutazione. Definisce i codici di priorità e i tempi di attesa RACCOMANDATI (e non VINCOLANTI) sottolineando un concetto fondamentale e sottaciuto dai più, ovvero quello di presa in carico e umanizzazione delle cure.

Altri due concetti secondo me sostanziali ma giudicati irrilevanti sia dai professionisti che dai cittadini sono quelli riguardanti il PROCESSO di pronto soccorso (che viene mappato nella sua interezza con tanto di tempi consigliati) e la possibilità di organizzare (come in effetti la regione Toscana ha già previsto tempo fa con la delibera 806/2017) dei FLUSSI di trattamento. Questi ultimi possono diventare dei veri e propri PDTA contribuendo, come indicato nell’ingiustamente criticato documento, a ottimizzare “i tempi di presa in carico e trattamento e contribuendo alla diminuzione dei tempi di attesa globale”.

Questo processo e questi flussi hanno la possibilità di partire già immediatamente dopo la fase di triage: il documento infatti non parla di “visita medica” ma di “accesso alle aree di trattamento“; questo identifica, pur se in maniera non troppo esplicita, l’inizio del percorso di pronto soccorso nella presa in carico anche da parte di altre figure (infermiere di post-triage, infermiere di flusso, team di valutazione rapida) deputate all’avvio dei percorsi di cui sopra, sia per le patologie tempo-dipendenti che per altri gruppi di problemi a elevato impatto sulle strutture di pronto soccorso (penso al dolore toracico e al dolore addominale).

Senza approfondire gli altri due documenti sull’osservazione breve intensiva e sul sovraffollamento, ritengo che l’impatto della funzione di triage come prevista da queste linee d’indirizzo possa essere sostanziale proprio per i motivi che ho analizzato. La presa in carico (che si spera possa essere davvero GLOBALE e soprattutto perseguire una vera e propria UMANIZZAZIONE) può contribuire a creare un canale di comunicazione tra l’assistito e gli operatori sanitari; la mappatura del processo e la creazione di flussi DEFINITI può guidare il lavoro dei professionisti pur nel rispetto della variabilità e della complessità sempre crescenti; infine un avvio precoce del percorso di pronto soccorso, già nella fase immediatamente successiva al triage, può contribuire a contrarre i tempi di processo riducendo i tempi di attesa “non necessari” e soprattutto migliorando la fiducia degli assistiti nelle strutture, non abbandonandoli per ore nelle asettiche sale d’attesa dei nostri pronto soccorso.

Il problema “pronto soccorso” esiste.

È più concreto che percepito e i tre documenti (prodotti da nostri colleghi, ricordiamocelo!) non rappresentano la soluzione definitiva alle criticità vissute quotidianamente da operatori e assistiti. Le pur note carenze di organico, sottolineate da SIMEU – Società Italiana di Medicina d’Emergenza e Urgenza e implicitamente indicate come UNICA CAUSA del problema dei pronto soccorso, sono solo la punta dell’iceberg. Le carenze esistono e andranno colmate, certamente.

Ma occorrono un deciso cambio di paradigma e un sostanziale cambio di passo degli operatori. La medicina di emergenza-urgenza è cambiata molto, è cambiata la popolazione, è cambiata la domanda dei nostri assistiti. Ignorare tutto questo rifugiandoci nell’ormai stantìo “non sono vere urgenze, non è roba da pronto soccorso, possono aspettare” non ci aiuterà a superare il problema. Contribuirà piuttosto ad aggravarlo.

Io ho molta fiducia nelle occasioni di miglioramento aperte da questo documento; ci sta anche il pizzico di orgoglio di chi è inserito in un sistema, quello toscano, che ha di fatto posto le basi di queste linee di indirizzo. Ora la palla sta a noi operatori, direttori di unità, coordinatori. Possiamo usare questo documento come scusa o come opportunità. Io, personalmente, non ho alcun dubbio.

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