Anestesisti rianimatori in 3 anni di studio? "Gravi rischi per il malato"

In un sistema mondiale che vede l'anestesista-rianimatore sempre più specializzato e formato, che senso ha ridurre gli anni di studio da 5 a 3? SIAARTI, CIPAR e Proxima analizzano la sconclusionata proposta del Governo Lega-5Stelle

Le polemiche sulla qualità del servizio di assistenza pre-ospedaliera e ospedaliera avanzata continuano a crescere e ad alimentarsi. Ancora una volta però è – purtroppo – l’ignoranza a farla da padrona. Mentre in Toscana, in Emilia-Romagna e in Friuli si da contro la figura dell’infermiere di area critica (considerato meno formato su competenze specifiche di un medico di medicina generale), dal lato accademico si procede con una potenziale riforma destabilizzante per la qualità dell’assistenza medica avanzata, quella che è affidata alle mani degli anestesisti-rianimatori. Professionisti cioè che dopo aver passato 6 anni a studiare per ottenere il titolo di dottori in medicina e chirurgia, affrontano un percorso formativo di altri 5 anni per diventare anestesisti-rianimatori. Un percorso che – però – non isola il professionista dal mondo medicale, ma lo inserisce in un contesto di équipe, di crescita, che fino ad oggi ha permesso ai professionisti italiani di diventare fra i più apprezzati nel mondo (dove, peraltro, vanno spesso ad operare perché vengono riconosciute maggiori tutele e migliori trattamenti economici ndr).

L’idea del Governo di tagliare le scuole di specializzazione quindi porta ad una levata di scudi, dalla quale non si sottrae la SIAARTI, che insieme a CIPAR e Proxima denuncia il rischio che stiamo correndo a livello di qualità del servizio al paziente.  I motivi di questo rischio sono sottolineati in un comunicato emesso proprio da SIAARTI:

  • 1)Nella maggior parte dei paesi Europei (Italia compresa) la durata della Scuola di Specializzazione in oggetto è almeno di 5 anni come stabilito dalla dichiarazione congiunta di UEMS (Union Europeenne des Medicines Specialistes)-ESA (European Society of Anesthesiology) per possedere un titolo accademico riconosciuto universalmente per Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore. Il legame tra Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e Medicina peri-operatoria, sia nel paziente adulto che pediatrico, risulta sempre più inscindibile, e che in Italia vanta oltre 80 anni di storia ed esperienza; tale legame è ancor più importante oggi in considerazione del progressivo invecchiamento della popolazione, divenuta più fragile per le comorbidità dell’età anziana. Tale proposta di riduzione del percorso formativo non garantirebbe più la sicurezza del livello assistenziale erogato ed indispensabile nel Sistema Sanitario Nazionale.

 

La riduzione del periodo formativo, come ipotizzata nell’emendamento, permetterebbe forse solo un esercizio parziale della professione di anestesista, precludendo importanti sbocchi lavorativi che implicano piene competenze in tutti gli ambiti della nostra disciplina. In parole molto semplici, invece che generare professionisti adeguati alle tante richieste dei nosocomi italiani, si generano “criticità” di personale disponibile. “Si verrebbe a verificare una paradossale situazione di vuoto formativo per la terapia intensiva e del dolore, aree di particolare competenza, riconosciute essenziali nella organizzazione medica e chirurgica in urgenza ed elezione in tutti i presidi sanitari del territorio nazionale” continua SIAARTI.

Non sarebbe più scontato che lo specializzato anestesista rianimatore  possa curare correttamente il paziente critico adulto e pediatrico nelle terapie intensive e nel periodo peri-operatorio nella sua interezza, con grande rischio per i malati.

 

  • 2) Cambiare un ordinamento didattico richiede tempo nella predisposizione e nell’approvazione e non può essere improvvisato sulla scia dell’urgenza del momento. Tale evenienza provocherebbe una distonia tra differenti figure professionali nell’ambito della disciplina non rendendole omogenee ed intercambiabili. A titolo esemplificativo, la riduzione della durata della scuola a tre anni potrebbe comportare che un medico in formazione al terzo anno di studio avrebbe diritto ad optare per il nuovo assetto formativo avendo immediatamente l’opportunità di entrare nel mondo del lavoro a scapito di colleghi del quarto anno, esclusi da tale opzione è ciò rappresenterebbe una severa penalizzazione per questi ultimi.

 

  • 3) La SIAARTI, Società Scientifica Italiana che rappresenta gli anestesisti-rianimatori, terapisti intensivi e medici del dolore è chiamata istituzionalmente a promulgare linee guida nazionali finalizzate alla ottimizzazione del trattamento clinico dei pazienti. Al fine di sviluppare linee guida è necessario implementare studi clinici e percorsi di ricerca appropriati a livello nazionale. Una drastica riduzione del processo formativo implica inoltre l’impossibilità per i giovani colleghi di maturare una esperienza nel campo della ricerca clinica, con ripercussioni negative sia sul progresso del trattamento medico che riguardo all’elaborazione di linee guida competenti.

 

In buona sostanza tale emendamento produrrebbe nuovi specialisti depotenziati dal punto di vista professionale, non più sufficientemente preparati nei vari settori dell’Anestesia, Rianimazione Terapia intensiva e del Dolore, con un titolo svalutato in ambito nazionale e internazionale.

“Ci auguriamo che vi sia un ripensamento da parte delle Autorità Istituzionali nella presentazione ed approvazione di tale emendamento al fine di mantenere un corretto processo formativo professionale per l’ottimizzazione del trattamento clinico e soprattutto per la sicurezza dei cittadini”.

Ci permettiamo una postilla, finale, dopo le tante polemiche che stiamo vivendo in questi giorni dettate da ragioni puramente populiste. Il testo dell’emendamento proposto al decreto recita anche che “eventuali risparmi derivanti dall’applicazione del presente comma sono destinati all’incremento del numero dei contratti di formazione specialistica medica”.
Quindi, invece di fare 5 anni al fianco di primari e professionisti di alta qualità, che si prendono le responsabilità della formazione degli anestesisti rianimatori, oppure facciamo lavorare “senza rete” dei professionisti meno formati, perché così fanno training in solitaria sui pazienti. Forse però l’Italia rischia di applicare un progetto su linee guida “Europee” che non possono collimare con la reale situazione che gli anestesisti rianimatori del continente si trovano ad affrontare. Prendiamo allora per esempio un percorso universalmente riconosciuto fra i migliori, quello australiano. Dall’altro capo del mondo, al termine della facoltà di medicina (6 anni) bisogna fare un anno da internship, un anno di residency, cinque anni di specializzazione e si hanno le qualifiche complete da anestesista.

 

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