Aritmie, quando il cuore “balbetta”: le extrasistoli

Le extrasistoli sono una forma di aritmia molto comune e in genere non pericolosa: solo in una modesta percentuale di pazienti cardiopatici le extrasistoli potrebbero riservare delle sorprese

Le extrasistoli, quando il cuore “balbetta”

L’impressione è che il cuore “balbetti”, creando un malessere che costringe a un colpo di tosse con l’intento di riportare il muscolo più importante del nostro corpo al giusto ritmo.

Sono le cosiddette extrasistoli, una forma di aritmia molto comune e in genere non pericolosa: solo in una modesta percentuale di pazienti cardiopatici le extrasistoli potrebbero riservare delle sorprese.

L’importante è quindi capire se questa anomalia del ritmo cardiaco si innesta su un cuore oppure in un contesto di cardiopatia e agire di conseguenza.

Cosa s’intende per extrasistole?

Si tratta di un battito cardiaco “prematuro”, che interrompe il normale e completo riempimento del cuore, tra un battito e quello successivo, producendo una pulsazione quasi impercettibile, descritta spesso come un “tuffo al cuore”, seguita da una pulsazione più forte (un “colpo” al centro del petto), effetto del “resettarsi” del normale battito cardiaco.

Questa sequenza (battito “abortito”/battito forte) può presentarsi più volte nell’arco della giornata ed essere inavvertita o appena avvertita; non di rado, però, ciò può risultare sgradevole.

Le extrasistoli sono pericolose per la salute del cuore?

Se il muscolo cardiaco è “sano”, sia dal punto di vista “strutturale” che delle proprietà elettriche delle membrane cellulari, le extrasistoli saranno difficilmente in grado di creare problemi seri al paziente.

Al contrario, in presenza di cardiopatia, sia le extrasistoli sopraventricolari (originate negli atri e ritenute per questo “innocenti”) che quelle ventricolari (originate nei ventricoli e per questo più temute) potrebbero diventare “trigger”, cioè fattori d’innesco di aritmie più complesse.

Come le tachicardie più prolungate e la “famigerata” fibrillazione atriale, per quanto riguarda le extrasistoli sovraventricolari.

Oppure la tachicardia ventricolare o la temibile fibrillazione ventricolare nel caso di extrasistoli ventricolari. Quest’ultime però hanno un’ulteriore particolarità.

Quale?

Il “numero totale” di extrasistoli ventricolari nelle 24 ore non è considerato il fattore più importante per valutarne la gravità.

Tuttavia, quando esse costituiscano il 20-30% dei battiti totali quotidiani (dunque, vi siano almeno 15.000 – 20.000 extrasistoli ventricolari al giorno), si può verificare un graduale deterioramento della “funzione di pompa” del cuore, tale da portare alle soglie dello scompenso cardiaco anche un paziente in buona salute.

Come vengono diagnosticate le extrasistoli e come viene valutato il loro grado di rischio?

L’iter diagnostico prevede una visita cardiologica con elettrocardiogramma (ECG).

Molto importante è un’attenta anamnesi familiare (cardiopatie o morti improvvise in famiglia) e personale.

Infatti spesso le extrasistoli sono facilitate da comportamenti sbagliati (eccessivo utilizzo di sostanze eccitanti, come té, caffè, alcol, cioccolato, ma anche vita sedentaria, sovrappeso, reflusso gastroesofageo, apnee notturne…).

Elemento rilevante dell’anamnesi individuale sono le “sincopi”, cioè eventuali episodi di svenimento, specialmente se non emerge una causa precisa. In assenza di una diagnosi di cardiopatia – come avviene per la maggioranza dei casi – il paziente potrà essere rassicurato e congedato con qualche consiglio comportamentale (ad es. ridurre l’uso di sostanze eccitanti…).

In caso contrario, si procederà ad ulteriori accertamenti.

Quali?

L’esame più utilizzato e noto è l’EGC dinamico secondo Holter (“ECG Holter”), cioè la registrazione dell’elettrocardiogramma per 24 ore.

Con questo esame viene documentata la quantità di extrasistoli di una giornata, rapportandola anche al numero totale dei battiti cardiaci.

Inoltre viene valutato se le extrasistoli prevalgano nelle ore di veglia o nel sonno, durante attività fisica o riposo; se si manifestino una alla volta (isolate) o in sequenze di due, tre o più battiti (ripetitive); se intervengano a cadenze regolari (bigeminismo, trigeminismo) o meno.

Altro dato importante è la loro precocità, cioè la relazione temporale tra l’extrasistole e il battito precedente (che spesso è in qualche modo all’origine dell’extrasistole stessa).

Infine, l’ECG Holter ci consente di apprezzare eventuali variazioni di aspetto di alcune componenti dell’elettrocardiogramma (ad esempio, le onde T o l’intervallo QT), che potranno essere correlate all’eventuale cardiopatia di base e valutate per le possibili conseguenze.

Per poter cogliere tutte queste informazioni, è necessario che l’ECG Holter fornisca una registrazione elettrocardiografica “completa”, cioè “a 12 derivazioni”, come quella del normale tracciato ECG.

L’analisi a 12 derivazioni permette di “mappare” con precisione, e in modo non invasivo, la sede d’origine delle extrasistoli: non solo se esse nascano negli atri o nei ventricoli, ma anche in quale parte di essi.

Può bastare l’Holter per avere un quadro diagnostico completo rispetto alle extrasistoli?

L’ECG Holter consente una valutazione squisitamente elettrica del fenomeno extrasistole.

Per una valutazione morfologica e funzionale del cuore è necessario avvalersi di altri esami, per lo più ambulatoriali e non invasivi.

L’Ecocardiogramma Color-Doppler, anzitutto, fornisce una grande quantità di informazioni.

In casi selezionati, è oggi disponibile anche la Risonanza Magnetica Cardiaca, che dà informazioni complementari a quelle dell’Ecocardiogramma.

Il Test da Sforzo al Cicloergometro è invece lo “stress-test” più semplice per valutare il comportamento delle extrasistoli durante esercizio, in condizioni controllate e in sicurezza.

Possono essere talora necessari anche esami invasivi: ad esempio la Coronarografia, utile nell’ipotesi di un’origine ischemica delle aritmie, e lo studio Elettrofisiologico, che valuta la vulnerabilità del tessuto cardiaco rispetto ad aritmie più complesse (che – come si è detto – le stesse extrasistoli potrebbero innescare) e ci consente di “mappare” con estrema precisione l’origine delle extrasistoli, grazie agli elettrocateteri introdotti nelle cavità cardiache.

Questi esami invasivi prevedono un breve ricovero e i pazienti vanno sempre ben informati sui possibili rischi e sul rapporto rischio / beneficio di tali accertamenti.

La terapia delle extrasistoli si limita allora ad un cambiamento degli stili di vita?

Spesso è così, specialmente in assenza di cardiopatia.

Se però i sintomi risultano invalidanti, per il normale svolgimento delle attività quotidiane, si può avviare una terapia farmacologica, mirata alla riduzione delle extrasistoli.

I farmaci più comunemente prescritti sono i beta-bloccanti, o alcuni calcio-antagonisti.

In casi selezionati, si ricorre a veri e propri farmaci antiaritmici, dal meccanismo d’azione più complesso e di competenza esclusivamente specialistica.

Nel caso di pazienti con cardiopatia?

Nei pazienti con cardiopatia, la terapia delle extrasistoli coincide e spesso completa la terapia della patologia sottostante.

Ad alcuni pazienti, molto sintomatici, cardiopatici e non, potrà essere proposto infine un tentativo di ablazione delle extrasistoli: si tratta di una terapia invasiva, che completa lo studio elettrofisiologico, volta a bonificare la zona di tessuto da cui originano le extrasistoli, attraverso una cauterizzazione che ne spegne l’attività.

Per i pazienti con cardiopatia grave e prognosi severa, si dovrà comunque ipotizzare l’impianto di un Defibrillatore Cardiaco Automatico (AICD), perché non è garantito che la terapia farmacologica estingua del tutto le extrasistoli e con loro il pericolo di aritmie più gravi, anche fatali.

Perché si ritiene che le extrasistoli possano essere causate dal reflusso gastroesofageo?

Un sicuro rapporto di causa-effetto tra extrasistoli e reflusso gastro-esofageo non è mai stato provato del tutto, ma è nozione comune che la digestione difficile e il reflusso gastroesofageo possono essere trigger di extrasistoli.

In particolare, nel caso delle extrasistoli sopraventricolari, si è ipotizzato che la contiguità anatomica tra esofago e atrio cardiaco sinistro possa trasmettere al cuore l’irritazione della mucosa esofagea, dovuta al reflusso acido dallo stomaco, favorendo l’extrasistolia.

Quindi, basta un antiacido?

A volte… Ma non si deve mai fare una diagnosi frettolosa.

Anche “innocenti” extrasistoli sovraventricolari potrebbero essere spia di un’ipertensione arteriosa non ben controllata, o di un’iniziale patologia delle valvole cardiache.

Dunque è necessaria da parte del cardiologo massima attenzione e scrupolosità, pur consapevoli che – nella grande maggioranza dei casi – le extrasistoli sono e rimangono un sintomo benigno, senza conseguenze di rilievo.

Per approfondire:

Cardiologia e innovazione, arriva il giubbotto del cuore per diagnosticare aritmie e sindrome di Brugada in un battito

Aritmia cardiaca: cosa succede quando il cuore “balla”

Fonte dell’articolo:

Ospedale Sacro Cuore 

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