Covid-19 e “Fase 2”: strategia di “lockdown a blocchi” dai matematici israeliani dell’Università di Bar-Ilan

“Lockdown”, “Fase 2”, “positivi asintomatici”. Sono tante le parole e le espressioni legate all’emergenza-coronavirus che l’Accademia della Crusca introdurrà nel proprio elenco, nei mesi a venire, dovendo riferire del Covid-19.

Una pagina di storia, tragica e dolorosa, da cui l’intera umanità sta faticosamente cercando di uscire.

Covid-19 e strategia: il lockdown

Le strategie adottate dai singoli governi sono ovviamente diversificate, essendo differente il grado di severità del contagio nelle varie nazioni del mondo.

Per sommi capi potremmo però affermare che, per quanto riguarda il mondo “occidentale”, la priorità risulta essere la coniugazione di un ritorno alla pseudo-normalità con l’esigenza di non rivedere pericolosi focolai di contagio in zone determinate.

Come raggiungere tale scopo? Come pianificare una tanto articolata sintesi di bisogni contrapposti?

Covid-19 e lockdown: la Fase 1, quella dei picchi

Nella “fase 1”, quella dell’emergenza, la ratio di fondo nella battaglia al coronavirus ha visto il prevalere del concetto di lockdown, di restrizione estrema della libertà individuale negli spostamenti, al fine di fornire “tempo utile” agli agenti del settore sanitario per gestire un periodo caotico ed inatteso, e quindi produrre tamponi e dpi, individuare mix di farmaci efficaci, allestire strutture di accoglienza dei pazienti, risolvere problematiche economiche e sociali mai ipotizzate in precedenza.

Stiamo affrontando, del resto, la più grossa crisi globale dalla fine della Seconda Guerra mondiale.

Covid-19 e fase 2: lockdown a blocchi o lockdown mitigato?

La “fase 2”? Secondo molti statistici medici la pandemia peggiorerà se e quando l’intera popolazione tornerà nei luoghi di lavoro. Che però sono contestualmente necessari da un lato per il sostentamento delle famiglie, dall’altro per la fornitura di beni di varia natura alle persone stesse.

La chiave, secondo alcuni esperti, rimane quella di ampliare i test rapidi per il coronavirus il più possibile, al fine di individuare le persone contagiose e isolarle per il tempo necessario alla cura e alla guarigione.

Un bel problema, dato che sono molte le perplessità inerenti all’efficacia e all’attendibilità di questi test rapidi, soprattutto riferendosi a quelli anti-immunoglobulinici.

Un ruolo rilevante, nella gestione di questa prolungata crisi, la stanno cominciando a rivestire i matematici, in particolare quelli del mondo universitario. E’ a loro che i governi di un po’ tutto il mondo guardano per capire quando e quanto allentare la morsa delle restrizioni, e quindi per individuare quel giusto compromesso che armonizzi bisogno di normalità e necessità di fermare i contagi.

I DUE STUDI IN ISRAELE:

Un’opzione guardata con grande interesse è quella che stanno vagliando in Israele, sottesa alla suddivisione della popolazione in gruppi ad alto e a basso rischio.

In Israele, va detto, il tentativo è di uscire dal lockdown attorno al 19 aprile, quindi nel prossimo week-end.

A riportarlo, e a dare conto degli incontri del Consiglio di sicurezza nazionale, il quotidiano Haaretz.

Un’opzione sviluppata da ricercatori dell’Università israeliana di Bar-Ilan prevede che la popolazione israeliana sia divisa in due “turni”.

Ciascuno verrebbe rilasciato dal blocco a settimane alterne, riducendo così il rischio di portatori asintomatici che infettano gli altri.

Una persona infetta durante la sua settimana attiva entrerebbe in un blocco di una settimana, al termine del quale potrebbe riprendere il lavoro, se in buona salute.

Se l’idea vi suona familiare, è probabilmente perché è un’opzione adottata da tempo da parecchie fabbriche e aziende italiane, su scala ridotta (reparti di produzione), è chiaro.

Un’altra opzione, proposta dal Weizmann Institute of Science, avrebbe l’intero ciclo economico in entrata e in uscita dal blocco, con quattro giorni di lavoro ogni 10 giorni di blocco nel tentativo di ridurre drasticamente il tasso di infezione e alla fine portare “al virus che scompare. ”

Ma la exit-strategy, in questo caso, non sembra presentare sufficienti gradi di certezza, e andrebbe in crisi di fronte ad un imprevisto secondo picco di infezione nel corso dell’anno.

Quali scelte verranno adottate?

Come sarà possibile armonizzare la scelta “dura” di uno Stato con quella “morbida” di un altro Stato senza che questo non influisca su scambio di merci, viaggi di lavoro, turismo e quant’altro?

Oggi è difficile dirlo.

Ma a leggere con attenzione gli studi che l’università israeliana e di tante altre nazioni stanno redigendo, è facile ipotizzare che la suddivisione in blocchi ed il monitoraggio continuo con tecniche e protocolli propri della diagnostica preventiva, diventeranno la norma per almeno un anno a partire da oggi.

La nostra parentesi di vita precedente, corta o lunga che sia stata, va considerata conclusa: se ne apre un’altra, e questo è un fatto certo.

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