Aborto e morte in utero, due drammi che il soccorritore deve saper affrontare: un Case Report

Aborto e morte in utero: la formazione per un soccorritore è fondamentale. Per il personale sanitario, è importante essere a conoscenza del problema, saper rispondere adeguatamente ai quesiti, saper interagire con la famiglia e, in ultima analisi, “saper cogliere” quelli che siano gli input ed i bisogni dei familiari, pur rispettandoli nel dolore

 

Dr. Angelo Giusto MD
Medico dell’Emergenza

Una chiamata triste…
Sono le 09.30.
L’operatrice di Centrale mi interpella per una donna di 32 anni, alla prima gravidanza, 39a settimana, “Sembra che non senta più muovere il piccolo che porta in grembo.

Potrebbe trattarsi di un aborto spontaneo!”

Dopo una ulteriore telefonata, si capisce meglio che il Medico, che segue la donna, ha già verificato l’assenza di battito del feto.

Aborto spontaneo e Morte in utero (Morte Fetale Intrauterina) sono, però, due realtà entrambe drammatiche ma clinicamente molto differenti.

L’aborto spontaneo, che cos’è

La parola aborto deriva dal latino abortus, vocabolo composto dal participio passato del verbo orior, “nascere” e dalla particella negativa ab-, quindi letteralmente “morire nel nascere”.

Si definisce aborto spontaneo l’interruzione spontanea della gravidanza, entro la ventiduesima settimana di gestazione.

Rappresenta l’evento più frequente di interruzione della gravidanza, secondo uno studio dell’American College of Obstetricians and Gynecologists.

Sostanzialmente, una percentuale compresa tra il 10 ed il 25% delle gravidanze termina con un aborto spontaneo.

La maggior parte degli aborti spontanei si verifica durante le prime 13 settimane di gravidanza.

Classificazione dell’aborto spontaneo

L’aborto spontaneo non è considerabile come un “evento”, ma piuttosto come la ultima conseguenza di un processo di eventi.

Se è vero che nella maggior parte degli eventi si parla di “aborto spontaneo” in senso lato, dal punto di vista clinico esiste una classificazione più precisa:

Minaccia d’aborto: sanguinamento più o meno importante che si manifesta nelle prime fasi della gravidanza. Il collo dell’utero è chiuso. Può essere presente dolore.

Aborto incompleto o inevitabile: sanguinamento sempre accompagnato da dolore. Il collo dell’utero è aperto.

Aborto completo: Si ha dolore, sanguinamento ed espulsione dell’embrione o del prodotto del concepimento regolarmente impiantati. Necessita della revisione di cavità (”raschiamento”), previa valutazione clinica ed ecografica;

Aborto interno o ritenuto: si ha quando l’embrione muore ma non viene immediatamente espulso;

Gravidanza ectopica: l’embrione regolarmente fecondato si impianta in una sede anomala (generalmente la tuba); può essere molto pericolosa per la madre;

Gravidanza molare: è il prodotto di un errore genetico durante la fecondazione, che comporta la crescita in utero di tessuti anomali.

Cause di aborto spontaneo

Non tutti i fattori causali sono noti, e nella maggior parte, e nella maggior parte dei casi, la donna non può fare nulla per prevenire l’aborto.

Esistono alcuni fattori che possono esserne causa: infezioni materne, anomalie cromosomiche fetali, anomalie uterine materne, sindrome dell’ovaio policistico, problemi ormonali materni, traumi, anomalie di impianto.

Aborto spontaneo, sintomatologia

La sintomatologia può variare da un dolore “sordo” al dorso, dimagrimento perdite di muco rosato perdite marroni o rosso vivo (più o meno accompagnate da dolore crampiforme), perdite simili alle mestruazioni contenenti grumi di sangue coagulato.

Morte intrauterina del feto, che cos’è

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la morte fetale intrauterina (MEF) come la perdita del feto dopo la 22a settimana di gestazione o, in caso di datazione sconosciuta, per un peso alla nascita maggiore o uguale a 500 grammi.

A seconda degli studi e delle casistiche, la percentuale di morte fetale intrauterina oscilla tra il 4 ed il 12 per mille.

Cause di MEF, la morte fetale in utero

Le cause possono essere molteplici: infezioni, malattie congenite, isoimmunizzazione materno-fetale, diminuito apporto di ossigeno (asfissia), età materna inferiore a 15 o superiore a 35 anni, patologie materne (diabete, nefropatie, malattie autoimmuni), abuso di sostanze.

La prevenzione della MEF si attua sostanzialmente adeguando la madre ad un corretto e sano stile di vita, ed alla ricerca (prima del concepimento) di eventuali patologie importanti eventualmente presenti a carico dei genitori.

La perdita di un bambino “che sta per arrivare”

Se è vero che, di questi tempi, l’argomento “morte” è diventato un tabù maggiore che parlare del sesso, immaginiamo cosa può significare la perdita di un bimbo che “sta per arrivare” in una famiglia.

La tendenza, errata ma ovviamente comprensibile, è quella di “non parlarne”, di evitare l’argomento, in quanto “il tempo è galantuomo, e cancella tutto”.

Per il personale sanitario, è importante essere a conoscenza del problema, saper rispondere adeguatamente ai quesiti, saper interagire con la famiglia e, in ultima analisi, “saper cogliere” quelli che siano gli input ed i bisogni dei familiari, pur rispettandoli nel dolore.

Autopsia si, autopsia no: la normativa italiana rispetto ad aborto e morte in utero

Riporto, sintetizzandolo, un interessante intervento del Prof. Gaetano Bulfamante, Professore Associato di Anatomia Patologica, Università degli Studi di Milano, Direttore Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Milano; Direttore della U.O.C. di Anatomia Patologica, Citogenetica e Patologia Molecolare, A.O. San Paolo di Milano relativo alle disposizioni ed alle “necessità di Legge” relative alla morte di un bambino.

La normativa sulla richiesta dell’autopsia è regolata da una Legge dello Stato, valida quindi su tutto il territorio nazionale. Questa Legge è il “Regolamento di Polizia Mortuaria”, reso applicativo tramite D.P.R. 10.09.1990, n°285.

La richiesta di autopsia, effettuata da un Medico (Curante o Ospedaliero) è un atto medico non soggetto all’approvazione dei congiunti.

Quindi, è il Medico che decide, autonomamente, se richiedere il riscontro diagnostico o meno.

Nel 1999 questa Legge generale è stata integrata da una norma specifica per “i nati morti” (D.P.C. del 22.07.1999 n°170): che di fatto rende obbligatoria l’esecuzione dell’’autopsia.

Quindi, in Italia, è di fatto obbligatorio eseguire l’autopsia per riscontro diagnostico dei feti “nati morti”, indipendentemente dalla volontà del medico curante o dei Congiunti.

L’unico problema, è correlato all’interpretazione del concetto di “nato morto” (NON specificato nel D.P.C. 170) e quindi non vi è concordanza sulla settimana di gestazione da utilizzare quale riferimento.

A questo può, però, essere richiamato quanto espresso dall’OMS, e sopra riportato.

In Italia spesso ci si riferisce, anacronisticamente, al vecchio “criterio ISTAT” (180 giorni di gravidanza, 25 settimane e 5 giorni) per definire il limite che distingue un aborto (soggetto se partorito incapace di sopravvivenza e legalmente “parte della madre”, tanto che viene registrato come “feto di …..”) da una soggetto “nato morto” (soggetto se partorito capace di sopravvivenza e legalmente riconosciuto come cittadino italiano “nato morto”, tanto che acquisisce il cognome del padre e una serie di specifici diritti legali).

Ancora, una più recente Legge italiana (n°31 del 02.02.2006) relativa alla SIDS e alla morte inaspettata del feto di età gestazionale superiore alla 25a settimana, ad esempio, fornisce un limite temporale lontano da quello indicato dall’OMS.

Il seguente passo, estremamente importante e ragionevole, lo riporto per intero:

“L’esecuzione dell’autopsia per riscontro diagnostico dovrebbe essere la prima cura e il primo interesse del medico, sia per comprendere come e perché è avvenuto il decesso, sia per manifestare concretamente alla famiglia del bambino il proprio interessamento empatico all’accaduto. Inoltre, anche se non è Legge, il non eseguire tutto quello che è ragionevolmente possibile fare (e una autopsia fetale non è un atto con costi o difficoltà irragionevoli) vìola uno dei diritti fondamentali del paziente: il diritto alla migliore definizione possibile della diagnosi.

Questo diritto diviene ancora più forte nel caso in cui la patologia possa ripercuotersi su successive gravidanze o su altri membri della famiglia”.

L’autopsia deve quindi, ad oggi, essere davvero interpretata come l’ultima diagnosi, lontana da quel concetto di “atto profanatorio”, “irriverente”, di “disprezzo del corpo umano” che nella nostra storia, nell’immaginario collettivo e nella sub-cultura della tradizione colloca ancora questo importante atto medico. In fin dei conti, probabilmente l’ultimo “atto di diritto” del Paziente.

Per quanto mi riguarda, mi piace aggiungere il pensiero che mi trasmise molti anni fa il Prof. Ezio Fulcheri, mio Docente di Anatomia Patologica durante il Corso di Laurea, relativamente al concetto di “cadavere” e di ”autopsia”: “L’autopsia è l’ultima diagnosi. Il “cadavere”, come lo chiamate voi (rivolto a noi studenti), deve essere chiamato con il proprio nome e cognome, fino a quando lascia definitivamente l’Ospedale”.

PER APPROFONDIRE SU ABORTO E MORTE IN UTERO:

INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA CON RU486: NON E’ PIU’ OBBLIGATORIO IL RICOVERO

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