Italia in ritardo sul trattamento celere dell'ictus per mancanza di strutture

E’ una delle malattie più diffuse nel mondo occidentale, capace di colpire ogni sei secondi e di lasciare notevoli strascichi a livello di disabilità tra i pazienti, con un costo sociale ed economico di grande impatto. L’ictus, stroke in inglese, è la prima causa di invalidità in Italia e ha una mortalità di un paziente colpito su 10, ma l’impegno sul fronte della prevenzione è del tutto insufficiente, nel mondo e in Italia. Secondo il Corriere della Sera, durante l’annuale International Stroke Conference dell’American Stroke Association è stato lanciato l’allarme, sottolineando che il 60% degli ospedali Usa non è attrezzato per erogare la terapia con trombolitico, che “scioglie” il coagulo in caso di ictus ischemico, e appena il 4% dei pazienti candidabili a questa cura la riceve davvero.

Non va meglio in Europa e, tanto per cambiare, in Italia, che mostra centri di eccellenza per il trattamento da ictus accanto ad aree completamente sguarnite. Un’Italia a macchia di leopardo o a due velocità, con gap che andrebbero superati per assistere velermente e propriaente i colpiti. Proprio un’intervento medico celere e appropriato è alla base di un recupero quasi completo dei colpiti, altrimenti la disabilità conseguente e residua può rovinare la qualità della vita dei malati e dei loro famigliari.”Intanto, purtroppo, sono ancora pochi gli italiani che sanno riconoscere i segni di un ictus per chiamare subito i soccorsi – spiega Paolo Binelli, presidente dell’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale (A.L.I.Ce Italia Onlus) -. Un’indagine recente del Censis ha mostrato che appena uno su quattro conosce i sintomi meno noti, come un mal di testa forte e improvviso, un calo repentino della vista, l’incapacità di capire che cosa viene detto o iniziare a parlare a vanvera. Tanti perciò non chiamano il 118 e vanno a letto sperando che passi. Una perdita di tempo che può essere fatale”.

Fulcro del trattamento dell’Ictus sono le “stroke unit“, strutture dedicate al soccorso celere dei pazienti colpiti da questa malattia: In Italia sono operative poco meno di 160 e quasi tutte al Nord e al Centro, tanto che al Sud oggi si muore più di ictus che di infarto. “In chi è stato seguito da una Stroke Unit la disabilità a un anno è inferiore del 25 per cento – aggiunge Binelli -. Questo spiega perché l’investimento necessario a realizzare queste unità si ripaghi in appena due o tre anni: in Italia per i pazienti con ictus si spendono ogni anno circa 3,7 miliardi di euro, a cui si aggiungono almeno 13-14 miliardi di costi stimati per le famiglie, sulle quali la malattia ha un impatto devastante perché si trovano a dover gestire, spesso del tutto da sole, l’impatto delle disabilità residue”.

Ridurre le conseguenze dell’ictus con trattamenti tempestivi e specifici in unità specializzate sarebbe perciò essenziale, ma la strada per arrivarci è in salita: alla carenza di Stroke Unit si somma infatti la mancanza di un protocollo specifico per il soccorso. “Quando il 118 interviene su una persona con chiari sintomi di ictus la regola impone di portarlo al più vicino Pronto Soccorso, indipendentemente dal fatto che vi sia una Stroke Unit – spiega Binelli -. Questo rallenta le cure perché spesso in un normale dipartimento d’emergenza non si può fare la terapia più adeguata e si deve perciò trasferire comunque il malato in una Stroke Unit, perdendo altro tempo. La nostra proposta è adottare ovunque il “codice ictus”, già attivo in Regioni come Liguria e Lombardia: in pratica, un protocollo di emergenza che funzioni come una corsia preferenziale e consenta di portare il paziente con ictus alla stroke unit più vicina, guadagnando minuti preziosi”.

 

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