Il Pronto Soccorso tratta 6 milioni di casi inutili: scopri il perché
Il servizio di Pronto Soccorso dovrebbe trattare solo i casi particolarmente gravi, i problemi più urgenti e i pazienti dovrebbero essere – in linea teorica – pochi e trattati subito. Questo per quanto riguarda la teoria di un buon servizio di Pronto Soccorso, ben strutturato, integrato in un sistema sanitario funzionante e utilizzato correttamente dai cittadini, consapevoli di quando e quanto usare il PS, il corrispondente 118 e – in alternativa – quando rivolgersi a medici e ambulatori di base. Questo in linea teorica, questo sicuramente non in Italia.
Oltre ad esserci pesanti tagli ai posti letto, particolarmente gravi perché mettono a dura prova la tenuta e la capacità del servizio, c’è un problema complessivo di “filosofia” del Pronto Soccorso che tocca il servizio, chi lo utilizza e chi dovrebbe gestire le emergenze minori, cioè i medici di base e le guardie mediche. Un’inchiesta de l’Espresso, a firma di Michele Bocci e Mario Reggio (già autori dell’inchiesta sulla mafia nelle ambulanze) da un’idea chiara del grave problema italiano della gestione delle emergenze. Il “Girone infernale” del Pronto Soccorso vede 844 strutture complessive, 513 di livello base e 331 pronto soccorso di livello superiore, che visitano 24 milioni di persone ogni anno, con 2800 accessi orari di media e 3.5 milioni di ricoveri all’anno. Perché numeri così enormi? Perché il Pronto Soccorso è ormai la struttura deputata a tenere in piedi da solo la risposta sanitaria ai cittadini. Dagli influenzati ai traumatizzati durante incidenti, ai tossicodipendenti e agli ipocondriaci, tutti si rivolgono indistintamente al Pronto Soccorso.
Niente sembra fermare questo abuso del servizio di emergenza da parte degli Italiani. Perché?
Ci sono 12 mila medici e 25 mila infermieri che lavorano nel pronto soccorso. L’attesa media per un consulto in periodo influenzale è fra le 6 e le 12 ore, con picchi di 92 e più ore per alcuni casi. Per i ricoveri va anche molto peggio. 24-72 ore nei periodi critici.
TAGLI PERSONALE, TAGLI POSTI LETTO, NIENTE SERVIZI TERRITORIALI
Ma perché i cittadini prendono d’assalto i servizi territoriali? Perché ad oggi medici di base e guardie mediche non sono organizzati per far fronte ai problemi sanitari del paese. Sono anni che devono essere attivate le Unità di Cura Complesse Primarie, ma ad oggi sono attive – con un nome completamente differente – solo in Toscana ed Emilia Romagna. Sono le Case della salute e non sempre funzionano perfettamente. Inoltre, come spiega Giacomo Milillo della FIMMG :”Sulla carta le Uccp sono dappertutto, ma quasi ovunque sono in forma embrionale”. Gli effetti dei “super ambulatori” quindi ancora non si vedono.
PROBLEMA FIDUCIA E DIAGNOSTICA
Ma perché i medici di base non riescono a dare una risposta ai problemi di salute dei cittadini? Perché nei fatti manca un tassello fondamentale all’opera del medico di famiglia: la diagnostica.
I gruppi dei medici di famiglia – scrive Bocci sull’Espresso – e nemmeno i singoli professionisti, non sono serviti a fare da argine alle richieste di prestazioni di urgenza da parte dei cittadini. “Per forza – commenta Vittorio Boscherini, vicepresidente Fimmg – negli studi avremmo bisogno di radiologi che facciano diagnostica. Solo in questo modo le persone vengono disincentivati dall’andare ospedale. Già nel 2000, a Firenze, avevamo fatto una sperimentazione che vedeva insieme 45 medici di famiglia. Ebbene, i pazienti venivano inizialmente da noi, ma i nostri controlli facevano trovare più problemi, così i viaggi ai pronto soccorso addirittura aumentavano. Dobbiamo essere in grado di dare una risposta spostando la diagnostica verso il territorio.
Visto come sono ancora indietro alcune regioni sulle Uccp è difficile ipotizzare a breve un cambiamento del genere. Insomma, chi si aspettava un aiuto dal territorio al pronto soccorso non aveva fatto bene i suoi calcoli. Di fronte ai problemi legati all’organizzazione degli ospedali e dei servizi di emergenza non c’è un lavoro dei medici di famiglia che aiuti a sgravare i compiti dei colleghi dell’urgenza. Lo stesso Milillo allarga le braccia: “Il territorio effettivamente non filtra molto ma manca anche una recettività di ritorno. Nel senso che i pazienti dopo essere stati curati dai pronto soccorso o comunque dagli ospedali devono essere rimandati sul territorio, magari hanno bisogno di letti cosiddetti intermedi prima di tornare a casa ma questi purtroppo non ci sono in molte regioni”.
Se si parla di filtro del territorio non si può ignorare l’assistenza a domicilio dovrebbe essere la norma, come accade in molti paesi dell’Unione Europea, e invece non lo è. Con questo tipo di attività si eviterebbe di riportare al pronto soccorso chi magari c’è stato cinque mesi prima. La Corte dei Conti, nella sua recente relazione sulla sanità, ha avvertito che “se non verranno fatti investimenti nell’assistenza domiciliare e la medicina sul territorio, tempo un paio d’anni e non verranno più assicurati i livelli essenziali d’assistenza”.
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ROMA – I dati sono chiari, almeno un quarto delle persone che si presenta al pronto soccorso ha problemi da poco, che potrebbero essere risolti altrove. Quando si va alla ricerca dei motivi in base ai quali le stanze dell’emergenza degli ospedali italiani sono sempre strapiene si può criticare l’organizzazione del sistema, la mancanza di mezzi e lo scarso aiuto fornito da alcune categorie dei medici, ma non si può ignorare il ruolo dei cittadini. In un’epoca di consumismo anche sanitario non va sottovalutata la crescita della domanda di risposte rapide da parte di chi ritiene di essere malato e in realtà non lo è, almeno non gravemente. E, al di là delle attese che possono arrivare ad alcune ore, va riconosciuto che quando si esce dal pronto soccorso si ha in mano una diagnosi, magari basata su esami strumentali che altrimenti richiederebbero settimane o mesi di lista di attesa per essere prenotati. E così in molti vanno nei dipartimenti di emergenza magari qualche giorno dopo essersi fatti male, o comunque per cose che potrebbero essere risolte dai medici di famiglia o da una visita con lo specialista.