L’approccio culturale dell’infermiere in tema di dolore: dalla rivista FNOPI una pubblicazione di notevole rilevanza

Il dolore. Chi opera in prima linea nella cura del paziente conosce la difficoltà di gestirlo. E ha imparato come una società diventata via via multiculturale esibisca approcci profondamente diversi. In quest’ottica la pubblicazione scientifica ad opera di Luca Giuseppe Re e Ilenia Andreola risulta essere davvero interessante e di spessore.

 

La pubblicazione, che proponiamo nella sua forma integrale, è edita da L’Infermiere, notiziario di aggiornamento professionale della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI).

Tutti i link in coda all’articolo.

IL DOLORE: UN APPROCCIO CULTURALMENTE SENSIBILE

INTRODUZIONE

Il tessuto sociale del nostro Paese negli ultimi decenni ha acquistato spiccati caratteri di multiculturalità: secondo le stime più recenti (1° gennaio 2018), in Italia sono presenti circa 6,11 milioni di stranieri (10% della popolazione totale) (PoliS Lombardia – ORIM, 2018).

In ragione di ciò è sempre più frequente prendersi cura di persone con diversa estrazione culturale, il che incide sulla gestione del sintomo doloroso (Weber SE, 1996; Ramer L et al., 1999; Peacock S et al., 2008; Narayan MC, 2010) ed esercita un’influenza sugli atteggiamenti e i comportamenti degli operatori sanitari.

Secondo i dati di letteratura, ad esempio, gli infermieri gestiscono in modo subottimale il dolore di malati di cultura differente dalla loro (Weissman D et al., 2004).

Il problema è destinato ad aumentare di rilevanza negli anni a venire e non più eludibile da un punto di vista clinico, assistenziale ed etico.

L’obiettivo del presente studio è dunque di illustrare un approccio culturalmente sensibile alla persona con dolore.

PUBBLICAZIONE SU APPROCCIO AL DOLORE, MATERIALI E METODI

Per rispondere a tale obiettivo è stata condotta una revisione della letteratura. Il reperimento dei record utili è avvenuto interrogando i database biomedici PubMed, CINAHL, EMBASE, PsycINFO, Web of Science e Scopus con l’utilizzo delle seguenti parole chiave: pain, culture, nursing, nurse, “transcultural nursing”, “culture (anthropological)”, “cultural anthropology”, “nurse attitude”.

Una prima selezione dei record ottenuti è avvenuta per pertinenza all’argomento e rilevanza di titolo e/o abstract; successivamente si è proceduto ad un ulteriore processo di screening in base a pertinenza e/o rilevanza dopo lettura integrale dei full text dei documenti eleggibili.

Da ultimo, quelli da includere nella revisione sono stati sottoposti ad analisi e sintesi narrativa.

RISULTATI DELLA RICERCA SULL’APPROCCIO CULTURALE AL DOLORE

La strategia di ricerca è stata implementata il 26 febbraio 2020. I record individuati sono stati complessivamente sessantadue.

Al termine del processo di selezione sono stati ritenuti pertinenti e rilevanti per l’obiettivo dello studio e quindi inclusi ventuno documenti.

Il dolore: l’approccio culturale del malato

Il dolore è un’esperienza fisiologica e psicologica culturalmente definita e soprattutto un’esperienza privata, che si traduce in comportamenti basati su specifici fattori che lo influenzano e sull’ambiente sociale in cui si manifesta il sintomo (Callister LC, 2003; Peacock S et al., 2008).

Il background culturale determina come il dolore è percepito, in che modo assume un significato, il se e il come una persona lo comunica o lo rende pubblico e come costei agisce o risponde all’esperienza del dolore (Lovering S, 2006).

Gli individui attribuiscono un significato e un valore diverso al loro dolore, in funzione degli orientamenti collettivi dell’ambiente in cui vivono (Lebreuilly R et al., 2012).

Anche l’acculturazione, definita come la misura con cui un soggetto adotta valori, credenze e stili di vita del paese in cui emigra (Peacock S et al., 2008), contribuisce a meglio comprendere in che modo la cultura influenzi ogni aspetto del dolore.

Quando le persone vivono in una nuova cultura si adattano ad essa in vari modi al punto che col passare del tempo esse riferiscono livelli di dolore simili a quelli degli omologhi nativi (Weber SE, 1996; Peacock S et al., 2008).

Oltre a ciò, occorre osservare che in ogni cultura, che offra ai suoi membri uno schema di riferimento ideale di atteggiamenti e reazioni a cui essi sono chiamati a conformarsi (Zborowski M, 1977), sono presenti molteplici sottoculture; queste possono influenzare profondamente la percezione e risposta al dolore.

Esistono due principali approcci culturali al dolore: l’approccio stoico e quello espressivo

I soggetti appartenenti al primo tendono a non trasmettere le loro esperienze dolorose, a “sorridere e sopportare” e ad evitano di vocalizzare con gemiti o urla (Jin M, 2017).

Cercano di non manifestare il sintomo controllando le espressioni del viso e possono anche negare di avere dolore se interrogati.

Generalmente non avvertono la necessità di cercare attenzione o cure e preferiscono essere lasciati da soli a sopportare il dolore (Narayan MC, 2010).

La cultura irlandese e quella afferente agli americani di prima generazione, ad esempio, hanno un approccio al dolore di tipo stoico (Zborowski M, 1977).

Esiste anche un approccio espressivo al dolore, secondo il quale la risposta culturalmente più appropriata per affrontare o alleviare il sintomo è gemere, piangere o urlare (Narayan MC, 2010).

Le persone di quest’ambito culturale sono incoraggiate a cercare attenzione e sostegno e chiedono ai caregiver di occuparsi di loro, preferendo non restare da sole (Narayan MC, 2010).

Esempi di culture con un approccio espressivo al dolore sono quella ebraica e quella italiana

Gli individui di alcuni gruppi culturali tollerano di più il dolore rispetto ad altri e sopportano livelli crescenti di stimolo doloroso per periodi più lunghi (Narayan MC, 2010): le persone di cultura afroamericana manifestano una minore tolleranza agli stimoli dolorosi, quelle appartenenti ad alcune culture orientali sopportano di più il dolore rispetto ai membri di culture occidentali (Wolff B et al., 1968; Ramer L et al., 1999; Callister LC, 2003; Booker SQ, 2016).

Il diverso approccio al dolore influenza richiesta ed accettazione della terapia analgesica: ad esempio un paziente di cultura ebraica può essere riluttante ad accettare il farmaco, mostrarsi preoccupato dei suoi effetti sull’organismo ed essere timoroso dell’eventuale assuefazione (Zborowski M, 1977; Booker SQ, 2016).

In generale diversi modelli culturali sono riluttanti ad assumere farmaci oppioidi, per tabù o timori sul loro uso: in alcune culture asiatiche gli oppioidi sono accettati solo come ultima risorsa per il timore di diventarne dipendenti.

Al contrario, le culture occidentali ritengono accettabile il loro utilizzo per alleviare il dolore in condizioni controllate (Cecchi M, 2013).

In altri casi (es. cultura cinese) la mancata richiesta di analgesico non deriva dal timore dei suoi effetti ma dalla convinzione da parte del malato che l’operatore sanitario ne proporrà l’utilizzo solo se a suo giudizio ve ne sarà realmente bisogno; sarebbe quindi come mancare di rispetto alla sua competenza e professionalità richiederlo (Peacock S et al., 2008).

Alcuni modelli culturali tendono a infondere nei membri un senso di autoefficacia e controllo sulla vita, ivi comprese le modalità con cui rispondere al dolore e gestirlo senza l’utilizzo di farmaci (Narayan MC, 2010).

Altri tendono ad essere fatalisti e ritengono che si possa esercitare una scarsa influenza su questioni riguardanti salute, malattia e dolore; i soggetti afferenti a questi modelli potrebbero sentirsi impotenti di fronte al sintomo (Narayan MC, 2010).

In funzione della cultura religiosa di appartenenza, la malattia e il dolore assumono un diverso senso in relazione alle specifiche convinzioni relative alla causa profonda del dolore (Richardson G, 2012).

L’accettazione della fede-destino determinato può portare all’astinenza dalle cure analgesiche per lasciare il proprio destino nelle mani di Dio (Lovering S, 2006).

Nelle culture con solido substrato religioso di matrice cattolica (es. cultura ispanica latino-americana) la partecipazione devota alle pratiche religiose è ritenuta di fondamentale importanza per alleviare o sopportare il dolore (Davihizar R et al., 2004).

In culture come quella afrocaraibica si ritiene che il dolore rappresenti una componente della vita, da dover sopportare per espiare le proprie colpe ed entrare nel regno dei cieli, oppure che sia una prova di fede imposta da Dio (Richardson G, 2012).

La spiritualità individuale gioca un ruolo importante ed è quindi importante conoscere le differenze e tenerne conto ai fini di comprendere l’esperienza del dolore (Dedeli O et al., 2013).

Esso infatti può essere percepito da una persona come una componente indesiderabile ma possibile della propria esistenza, da un’altra come un presagio di un grave problema di salute e da un’altra ancora come una punizione meritata o un’opportunità (Narayan MC, 2010).

Il dolore: l’approccio culturale dell’infermiere

La valutazione del dolore è funzione di un modello comunicativo culturalmente sensibile.

Senza un’interpretazione competente e rispettosa della cultura di appartenenza del malato è impossibile sia valutare adeguatamente il sintomo che insegnare i principi della sua gestione (Narayan MC, 2010; Richardson G, 2012).

Molti degli strumenti di valutazione del dolore più utilizzati dagli infermieri hanno un uso limitato in contesti multiculturali (Fenwick C, 2006).

Inoltre alcune culture vanno oltre la semplice misurazione quantitativa e necessitano di esprimere una costellazione di sentimenti, percezioni ed effetti del dolore per trasmettere efficacemente la natura del sintomo (Douglas M, 1999).

Altre potrebbero sottovalutare o sopravvalutare il dolore quando viene loro richiesto di quantificarne l’entità (Douglas M, 1999).

Sebbene alcuni strumenti di rilevazione siano stati tradotti in diverse lingue, ciò non è garanzia di attendibilità, giacché alcuni significati potrebbero essersi alterati nella traduzione e le espressioni tradotte potrebbero veicolare messaggi incoerenti con il significato originario (Cecchi M, 2013).

La traduzione da sola non coglie la realtà delle diverse esperienze di dolore: per garantire l’equivalenza di trattamento fra malati con orientamenti culturali differenti è necessario operare con rigore (Roberts G et al., 2003).

Anche i modelli di espressione non verbale del dolore variano tra le diverse culture e conducono a possibili valutazioni errate del sintomo (Davihizar R et al., 2004; Richardson G, 2012; Cecchi M, 2013).

Una misurazione affidabile non dipende solo dall’utilizzo del migliore strumento disponibile per quella persona; se di diversa estrazione culturale, occorre porlo nelle condizioni di comunicare efficacemente la propria esperienza di dolore agli infermieri, che a loro volta devono possedere le competenze culturali necessarie per interpretare correttamente la sua esperienza di dolore (Davihizar R et al., 2004; Fenwick C, 2006; Peacock S et al., 2008).

Gli infermieri adottano due principali modelli di valutazione del dolore: il modello suggestivo e quello comparativo (Fenwick C, 2006).

Nel primo si suggerisce un score di dolore basato sulle proprie esperienze e se ne chiede poi la convalida (Fenwick C, 2006).

In tal modo il malato non viene consultato sul dolore percepito ma informato su un livello ritenuto “adeguato” (Fenwick C, 2006).

Nel modello comparativo la severità del dolore viene determinata tramite score assegnati in precedenza (Fenwick C, 2006); questo approccio è pericoloso se il modello suggestivo ha guidato la prima valutazione del sintomo, perché da ciò può svilupparsi un circolo vizioso di errata valutazione del dolore con relativa inefficace gestione (Fenwick C, 2006).

La formulazione di ipotesi stereotipate per effetto della non conoscenza del background culturale del malato può condurre a sotto o sovratrattamenti del dolore (Weber SE, 1996; Ramer L et al., 1999; McDermott MA et al., 2000; Callister LC, 2003; Richardson G, 2012).

I fenomeni che guidano tale formulazione sono due, cecità culturale ed etnocentrismo

Il primo segue l’assunto secondo cui il malato, presentandosi simile al curante nell’aspetto e nel comportamento, non dovrebbe manifestare barriere culturali tali da ostacolare l’efficacia delle cure (Jin M, 2017).

Il secondo fa riferimento alla convinzione che la cultura di appartenenza del curante debba prevalere su quella del curato (Weber SE, 1996; Davihizar R et al., 2004).

Alla base di un approccio culturalmente competente al dolore vi deve essere il concetto di umiltà culturale, che si declina secondo i seguenti attributi: apertura (volontà di rendersi disponibili a nuove idee, porre domande e considerare le esperienze da un’altra prospettiva), consapevolezza di se stessi (riconoscere i propri punti di forza, debolezze, credenze e valori), consapevolezza degli altri (rimuovere il pensiero gerarchico e rimanere modesti di fronte a contesti culturali diversi), interazioni di supporto (essere responsabili delle interazioni con gli altri con l’intenzione di sviluppare scambi positivi e impegnarsi nel creare uno spazio di generosità e inclusione), autoriflessione e critica (processo continuo di esplorazione dei propri pensieri, sentimenti e comportamenti creando opportunità di introspezione e crescita) (Rosa WE, 2018).

Un altro concetto importante è quello di sicurezza culturale

A sua garanzia occorre che sussista quella sensibilità necessaria a rendere consapevole l’infermiere che il malato potrebbe appartenere ad un contesto culturale diverso dal suo e a fargli riconoscere l’influenza reciproca che due differenti modelli culturali potrebbero avere sulla corretta gestione del dolore (Fenwick C, 2006).

Per erogare prestazioni assistenziali culturalmente sicure è necessario implementare un modello di comunicazione culturalmente sensibile e competente.

Per fare ciò bisogna:

1) prendere coscienza delle convinzioni personali della persona;

2) eseguire una valutazione culturale delle sue variabili di comunicazione;

3) modificare i metodi di comunicazione per soddisfare i suoi bisogni culturali;

4) rispettare questi ultimi e considerarli essenziali per una relazione terapeutica efficace (Jin M, 2017).

IL DOLORE, DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

L’infermiere può garantire un’ottimale gestione del dolore ad ogni individuo, indipendentemente dall’estrazione culturale di provenienza, se sviluppa le competenze necessarie per offrire cure culturalmente sensibili e sicure oltre che efficaci e (Jin M, 2017).

Affinché avvenga questo cambio di paradigma egli deve:

1) essere consapevole dell’unicità culturale di ogni persona;

2) avere desiderio di espandere le proprie competenze culturali;

3) imparare a conoscere tramite percorsi formativi mirati il significato che le diverse culture attribuiscono al dolore;

4) essere in grado di intraprendere una relazione interculturale efficace al fine di ridurre stereotipi e preconcetti reciproci (Davihizar R et al., 2004; Peacock S et al., 2008; Rosa WE, 2018).

Una volta apprese le specificità culturali del malato così da implementare una strategia di comunicazione culturalmente competente (Davihizar R et al., 2004; Fenwick C, 2006; Cecchi M, 2013; Jin M, 2017), è possibile pianificare prestazioni assistenziali per la gestione del dolore rispettose dei suoi bisogni culturali (Dedeli O et al., 2013).

Ogni cultura, attribuendo uno specifico significato al dolore, contempla differenti modalità di percezione, tolleranza e manifestazione esterna del sintomo.

Ciò ha una diretta ricaduta sulla sua valutazione e gestione infermieristica.

In quest’ottica l’infermiere, in un contesto sociosanitario destinato ad essere sempre più orientato alla multiculturalità, non può più esimersi dall’approcciarsi al dolore in modo culturalmente sensibile e sicuro; questo, oltre ad essere un imperativo etico, contribuisce ad aumentare l’efficacia delle cure prestate.

LEGGI LA PUBBLICAZIONE SULL’APPROCCIO CULTURALE AL DOLORE IN FORMA INTEGRALE:

Il-dolore-un-approccio-culturalmente-sensibile

PER APPROFONDIRE:

VITA DA SOCCORRITORE, COSA SI INTENDE PER AMBULANZA INFERMIERISTICA?

INFERMIERE SU AMBULANZA E CONFLITTI ETICI: UNO STUDIO DALLA SVEZIA

FONTE DELL’ARTICOLO:

RIVISTA L’INFERMIERE, DI FNOPI

CONFLITTO DI INTERESSI

Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

FINANZIAMENTI

Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

BIBLIOGRAFIA

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