Quando la demenza colpisce i bambini: la Sindrome di Sanfilippo

La Sindrome di SanFilippo è conosciuta anche come mucopolisaccaridosi di tipo 3A, e consiste nell’alterazione del funzionamento di alcune cellule chiamate lisosomi: queste sono deputate alla degradazione e smaltimento di diverse sostanze

Che cos’è la Sindrome di Sanfilippo

Nella Sindrome di Sanfilippo non avviene questo processo in particolare per uno zucchero, chiamato eparansolfato, che quindi si accumula nei lisosomi, causando l’insorgenza della demenza nei bambini (Andrade et al., 2015).

Ci sono però alcuni sintomi a insorgenza precoce, simili a quelli che si possono riscontrare nell’autismo (iperattività, comportamenti stereotipati, modifiche del comportamento sociale) che non si spiegano con l’accumulo di eparansolfato.

Si è invece visto che ciò sembrerebbe derivare da una maggiore quantità di dopamina presente a livello cerebrale, e dei neuroni che la producono; questo fenomeno non sarebbe causato dall’accumulo dello zucchero, ma da un suo alterato funzionamento; si tratterebbe, quindi, di un problema di tipo metabolico.

Inoltre, i neuroni produttori di dopamina sembrano essere più numerosi già nel feto, e ciò consentirebbe di considerare la Sindrome di Sanfilippo come un Disturbo del neurosviluppo.

La prevalenza generale è stimata a 1:70000 neonati (Benetò et al., 2020), ma potrebbe essere alterata a causa della difficoltà di diagnosi delle forme più lievi.

Inoltre, i diversi tipi hanno prevalenza diversa a seconda dell’area geografica: il sottotipo A è più frequente nel nord Europa, mentre il B si riscontra maggiormente nelle zone meridionali del continente.

Il sottotipo C è in generale meno comune, mentre il D si configura come il più raro in tutte le popolazioni.

La diagnosi avviene attraverso l’analisi della quantità di eparansolfato nelle urine.

Sintomi della Sindrome di Sanfilippo

L’aspetto preponderante della Sindrome è un rapido deterioramento mentale, ma se ne possono comunque individuare quattro diversi sottotipi, in base alla mutazione genetica coinvolta e alla conseguente carenza enzimatica: tipo A, tipo B, tipo C e tipo D.

La sintomatologia è comunque prevalentemente condivisa da tutti i sottotipi: la neurodegenerazione inizia nei primi dieci anni di vita, e include atrofia corticale, demenza progressiva, deterioramento motorio, iperattività, difficoltà di apprendimento, comportamento aggressivo, disturbi del sonno, e significativa disabilità intellettiva.

Possono esserci anche alcune manifestazioni somatiche, tra cui irsutismo, epatosplenomegalia (ingrossamento di fegato e milza), rigidità delle articolazioni, disfagia, ipertricosi, ipoacusia, perdita del linguaggio, e alterazioni scheletriche; le convulsioni insorgono solitamente dopo i 10 anni.

L’aspettativa di vita per i bambini colpiti dalla Sindrome è significativamente inferiore alla media, collocandosi tra i venti e i trent’anni di età (Valstar et al. 2011).

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Al momento non esistono trattamenti che siano efficaci nel rallentare o fermare la neurodegenerazione nei bambini con Sindrome di Sanfilippo

L’intervento consiste essenzialmente in misure palliative per alleviare la sintomatologia.

Sono attualmente in corso diverse sperimentazioni su modelli animali e cellulari, che si focalizzano prevalentemente sull’intervento sul Sistema Nervoso Centrale.

Tra questi, la terapia enzimatica sostitutiva (ERT), il trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT), la terapia di riduzione del substrato (SRT), la terapia chaperone-mediata e la terapia genica.

Riferimenti

Andrade, F.; Aldamiz-Echevarria, L.; Llarena, M.; Couce, M.L. (2015). Sanfilippo syndrome: Overall review. Pediatrics International, 57, 331–338.

Benetò, N., Vilageliu, L., Grinberg, D., Canals, I. (2020). Sanfilippo Syndrome: Molecular Basis, Disease Models and Therapeutic Approaches. International Journal of Molecular Sciences, 21(21), 7819.

Valstar, M.J.; Marchal, J.P.; Grootenhuis, M.; Colland, V.; Wijburg, F.A. (2011). Cognitive development in patients with Mucopolysaccharidosis type III (Sanfilippo syndrome). Orphanet Journal of Rare Diseases, 6, 43.

Per approfondire:

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Fonte dell’articolo:

Istituto Beck

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