Embolizzazione dei fibromi uterini: che cos’è e come si cura

L’embolizzazione arteriosa, la più brillante soluzione terapeutica della fine del secolo scorso nel rispetto della ‘self image’ della donna, rappresenta l’alternativa alla chirurgia dei fibromi uterini sintomatici

Sviluppata in Francia dal prof. Ravinà, ginecologo, e dal prof. Merland, radiologo interventista, l’embolizzazione è praticata a Parigi dal 1993, negli Stati Uniti d’America dal 1995, in Inghilterra, Israele, Canada dal 1997 e in Italia, prima di tutto a Brescia, dal Maggio 1997.

Embolizzazione dei fibromi uterini, fino a oggi sono stati realizzati circa 2000 interventi nel mondo

Prima riservata solo alle donne tra i 38 e i 48 anni che non avevano più il desiderio di una gravidanza, ora l’indicazione si è estesa alle donne giovani che desiderano conservare la propria fertilità.

Il Fibroma uterino

I fibromi uterini interessano circa il 35% delle donne in età fertile, anche se soltanto nel 50% dei casi diventano sintomatici.

In ogni caso, sono i tumori pelvici più frequenti.

Tale patologia è ormonodipendente; la formazione del fibroma è legata agli elevati tassi d’estrogeni circolanti.

Infatti, dopo la menopausa, con la caduta degli estrogeni i fibromi tendono spontaneamente a regredire.

Il corpo dell’utero è irrorato dalle arterie uterine che si dipartono in rami corti; in presenza di fibromi, l’arteria uterina aumenta di calibro e la vascolarizzazione del fibroma è maggiore rispetto a quella del miometrio circostante.

La vascolarizzazione dei fibromi si compone di una rete periferica e di una rete centripeta.

La prima, la più importante, circonda il tumore ed è formata da vasi capillari e fibromatosi anastomizzati con le arterie uterine.

Questa rete vascolare peritumorale è responsabile dei sanguinamenti durante la miomectomia.

La seconda, più esile, è composta da diramazioni multiple, che si riducono distalmente fino a qualche arteriola di tipo terminale.

Questa vascolarizzazione dei fibromi è a bassa resistenza e rappresenta il motivo della distribuzione selettiva delle microparticelle durante l’embolizzazione.

I sintomi dei fibromi uterini sono variabili: menometrorragie, compressione dei visceri pelvici limitrofi, infertilità da causa meccanica

Le menometrorragie sono il sintomo più importante dei fibromi sottomucosi e interstiziali, e sono più abbondanti nel periodo perimenopausale in virtù dell’iperestrogenismo relativo.

Tali menometrorragie sono ricondotte all’iperplasia endometriale e all’aumento della cavità uterina, tuttavia probabilmente è superiore il ruolo dell’ipervascolarizzazione peritumorale.

Oggi, non esiste un trattamento eziologico o preventivo, e soltanto i fibromi uterini sintomatici necessitano di un trattamento.

Esistono terapie ormonali e chirurgiche.

L’embolizzazione arteriosa

L’embolizzazione arteriosa è utilizzata da molti anni in ostetricia e ginecologia.

Già nel 1980 è stato dimostrato che l’embolizzazione delle arterie ipogastriche rappresenta il trattamento estremo delle emorragie irrefrenabili del secondamento.

Successivamente, l’embolizzazione temporanea delle arterie uterine è stata utilizzata prima delle miomectomie complesse al fine di ridurre il sanguinamento perioperatorio e facilitare l’atto chirurgico.

Tra il 1989 e il 1993, l’embolizzazione è stata impiegata in 6 donne portatrici di fibromi uterini sintomatici, con patologia associata (obesità, precedenti episodi tromboembolici, AIDS, tumore cerebrale) comportanti un elevato rischio operatorio.

In seguito è stata proposta come trattamento alternativo alla chirurgia dei fibromi.

Lo studio multicentrico condotto dal prof. Ravinà e dal prof. Merland ha permesso di realizzare delle linee guida sull’embolizzazione arteriosa dei fibromi uterini

Criteri di inclusione: presenza di utero fibromatoso con fibromi sintomatici, individuati sul piano clinico ed ecografico, che non siano peduncolati; persistente sintomatologia emorragica e compressiva, nonostante un trattamento medico ben condotto, o una sintomatologia che minacci l’integrità fisica (gravi emorragie) della donna; assenza di un trattamento ormonale da almeno 3 mesi (causa di 3 dei 5 insuccessi segnalati in letteratura); presenza di un rischio anestesiologico e operatorio elevato, controindicante alla chirurgia; adesione al follow-up.

Criteri di esclusione: presenza di fibromi uterini non sintomatici; menometrorragie legate a patologie maligne; donne in trattamento ormonale con progestinici e/o analoghi del GnRh; donne che non possono assicurare un adeguato follow-up; controindicazioni all’arteriografia (protesi arteriose, rischio ischemico); allergia ai prodotti iodati; diatesi allergica; rifiuto della paziente.

Assistenza preoperatoria nell’embolizzazione dei fibromi uterini

Le pazienti sono valutate in consulto dal ginecologo (per una valutazione clinica e strumentale tesa a escludere altre cause di menometrorragie e a stimarne l’entità: emocromo, sideremia, ferritinemia, pap-test, ecografia pelvica); dall’anestesista (per una valutazione preoperatoria); dal radiologo interventista (per informare la paziente sulla tecnica).

Alla paziente sarà sottoposta una nota informativa e le sarà chiesto di sottoscrivere un consenso informato.

Dopo la discussione del caso clinico e l’accordo collegiale, la paziente sarà ricoverata il giorno precedente l’intervento, dotata degli esami ematochimici e strumentali (gruppo sanguigno, emocromo, tempo di Quick, PT, PTT, tempo di emorragia, CPK, ecc.).

La paziente resterà a digiuno dalla mezzanotte e si recherà in sala radiologica con un accesso venoso periferico.

Tecnica dell’intervento

L’intervento si svolge in sala angiografica d’ultima generazione con arcus per radiologia interventistica.

I materiali per l’embolizzazione sono quelli classici di un cateterismo arterioso con in più la necessità di un microcatetere, tipo Tracker, e delle microparticelle (polivinilformaldeide inerte).

Dopo anestesia locale, viene incannulata l’arteria femorale e realizzato il cateterismo selettivo dell’arteria ipogastrica omolaterale o più sovente controlaterale per effettuare un mappaggio della vascolarizzazione tumorale.

Quindi, l’arteria uterina è cateterizzata selettivamente restando prossimali per evitare un vasospasmo arterioso che impedirebbe la progressione delle microparticelle; poi viene posizionato il microcatetere.

L’embolizzazione selettiva è realizzata a flusso libero in modo che le microparticelle possano occludere il letto vascolare peritumorale.

Una volta posta la sonda nell’arteria uterina è possibile iniziare l’embolizzazione

L’iniezione di microparticelle verso il letto vascolare peritumorale è arrestata quando compare ristagno.

Questa manovra è effettuata anche controlateralmente. Infatti, anche se esiste solo ipervascolarizzazione unilaterale, ci si espone al rischio di un insuccesso per il ripristino controlaterale della vascolarizzazione del tumore.

Dopo essersi assicurati della riuscita della devascolarizzazione, il catetere e l’introduttore sono sfilati.

Una medicazione compressiva è posta sul punto d’ingresso e la paziente è ricondotta in reparto.

L’intervento ha una durata di circa un’ora.

Un’aortografia generale è raramente necessaria; è, invece, ottimale eseguire un’opacizzazione di ciascun’arteria uterina prima e dopo l’embolizzazione.

Assistenza postoperatoria

Dopo l’embolizzazione, la comparsa di dolore pelvico dipende dal volume dei fibromi.

Il dolore può essere immediato e durare 12-18 ore, seguito per qualche giorno da un indolenzimento, di probabile origine ischemica.

Questo richiede un trattamento analgesico appropriato: dai morfino-simili per via venosa, infusi a mezzo di pompa autogestita, agli antinfiammatori non steroidei per una settimana, dagli antispastici agli antinausea.

Nei casi di grossi fibromi è utile l’anestesia epidurale.

Quando i fibromi hanno un diametro di 10-12 cm é possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3°-5° giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a reazione peritoneale, nausea e febbre.

Tale sintomatologia persiste qualche giorno e assomiglia a una complicanza spontanea dei fibromi: la necrosi asettica

Generalmente, per i fibromi di diametro inferiore agli 8 cm la dimissione avviene il giorno successivo all’intervento.

La paziente sarà controllata entro 2 mesi dopo aver eseguito un eco-color-doppler.

L’efficacia del trattamento è valutata con: anamnesi ed esame obiettivo, tesi a verificare l’evoluzione della sintomatologia emorragica e compressiva; emocromo, per monitorare l’anemia, e CPK per verificare la correlazione tra caduta dei tassi di CPK e riduzione volumetrica del fibroma; eco-color-doppler per seguire la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale.

La paziente sarà rivista dal ginecologo con gli stessi esami a 6 mesi, a 12 mesi e poi annualmente.

L’efficacia sulle menometrorragie è immediata, mentre per apprezzare la riduzione volumetrica del fibroma uterino bisogna attendere 4-6 mesi: il processo inizia non prima di 4 settimane e prosegue per 8-12 mesi soprattutto per i grossi fibromi.

Risultati

Lo studio multicentrico francese, condotto su 200 donne tra i 34 e 49 anni con uno o più fibromi sintomatici e con un follow-up da 6 a 60 mesi su 186 donne, ha dato i seguenti risultati:

  • impossibilità tecnica di cateterizzare le arterie uterine nel 7% dei casi (operatori diversi);
  • scomparsa delle menometrorragie nel 92% dei casi;
  • riduzione del volume dei fibromi superiore al 70% per i due terzi, e riduzione superiore al 40% per un terzo dei casi;
  • 8 insuccessi, che hanno richiesto l’intervento tradizionale; non è stata registrata nessuna ricaduta di fibromatosi;
  • 7 gravidanze non desiderate sono state registrate, 3 interrotte per motivi privati e 4 portate a termine normalmente.

Tra le complicanze segnaliamo 12 amenorree, di cui 7 transitorie e 5 definitive (donne di oltre 45 anni).

Inoltre, è stata osservata una sola grave complicanza per un voluminoso fibroma sottosieroso peduncolato che ha condotto a un’isterectomia con colectomia parziale.

Nella nostra casistica bresciana, alla fine del 1998 sono state trattate mediante embolizzazione 62 donne con fibromi uterini sintomatici.

Durante l’intervento non è stata riscontrata alcuna impossibilità tecnica di cateterizzazione (unico operatore) e alcuna complicanza intraoperatoria.

Le pazienti sono state dimesse entro 48/72 ore. Il follow-up superiore a 6 mesi effettuato su 29 donne ha dato i seguenti risultati:

  • ritorno alla normalità per il sintomo menometrorragie in tutte le donne;
  • riduzione del volume dei fibromi superiore del 70% nell’89% dei casi, e riduzione tra il 40 e il 60% nel 10% dei casi (si trattava di fibromi uterini voluminosi e vecchi).

Tra le complicanze si sono verificati 3 casi di amenorrea, di cui uno definitivo in una donna di 48 anni.

Ad oggi, il numero delle pazienti trattate con embolizzazione è superiore a 200, con risultati sovrapponibili alla prima serie.

Conclusioni

Secondo i lavori presenti in letteratura e la nostra esperienza, possiamo affermare che:

  • l’embolizzazione arteriosa con microparticelle rappresenta una reale alternativa alla chirurgia invasiva;
  • rispetto alla terapia ormonale, l’embolizzazione evita protocolli lunghi, con effetti collaterali importanti;
  • le conseguenze psicologiche e sessuali sono nulle e le gravidanze possibili;
  • secondo i diversi studi, questa tecnica potrebbe eliminare il 90% delle isterectomie e il 70% degli interventi conservatori per fibromi uterini.

Attualmente, le indicazioni all’embolizzazione sono rivolte anche verso le donne più giovani, infatti, più il fibroma è recente, meglio risponde all’intervento (con delle scomparse totali di fibromi inferiori a 6 cm).

I risultati per i casi di fibromi multipli anche recidivanti sono buoni e l’embolizzazione ha la specificità di trattare nello stesso tempo tutti i fibromi, anche quelli invisibili in via di formazione.

Un’indagine mondiale effettuata su circa 2000 donne sottoposte a embolizzazione indica una percentuale di soddisfazione superiore al 90%.

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