Emorroidi interne ed esterne: cause, sintomi e rimedi

Emorroidi, circa il 10% della popolazione adulta nei paesi sviluppati ne ha sofferto almeno una volta nella vita

Dolore, gonfiore, senso di pesantezza, prurito e in alcuni casi sanguinamento, si presentano così le emorroidi

Una patologia molto frequente a tutte le eta’, sia negli uomini che nelle donne e che può diventare un disturbo fastidioso e imbarazzante.

Tanto piu’ che fino a poco tempo fa la cura chirurgica faceva paura.

Cosa sono le emorroidi

Le emorroidi in senso proprio non sono una malattia: si tratta di cuscinetti venosi che abbiamo tutti a cavallo dell’orifizio anale e che concorrono al mantenimento della sua continenza.

La malattia emorroidaria

Quindi è inesatto dire ‘soffro di emorroidi’”.

Le emorroidi sono vene normali.

Si parla di malattia emorroidaria quando queste vene si ipertrofizzano, cioè si gonfiano, e cominciano a fuoriuscire.

Questa fuoriuscita prende il nome di prolasso e cominciano i sintomi fastidiosi, il sanguinamento e il dolore.

È bene precisare che la malattia emorroidaria non è una patologia delle sole vene, come si è pensato per lungo tempo, ma è dovuta anche alla degenerazione dei tessuti connettivi, che per ragioni ereditarie o acquisite fanno perdere il sostegno ai cuscinetti venosi, determinandone la fuoriuscita e cioè il prolasso.

Emorroidi interne ed emorroidi esterne

Esistono clinicamente 2 tipi di emorroidi:

  • Interne: localizzate nel canale anale, sono indolori e non sono visibili. Possono uscire durante la defecazione ma rientrare spontaneamente;
  • Esterne: sono visibili, si sviluppano al di fuori dell’orifizio anale, fuoriescono sotto sforzo senza rientrare spontaneamente o sono persistentemente esteriorizzate.

I gradi delle emorroidi

Le emorroidi vengono generalmente classificate in base alla gravità in 4 gradi: dal primo grado che è il più lieve, dove c’è solo un aumento della congestione emorroidaria interna, al quarto grado, che presenta un prolasso non riducibile con una forte infiammazione e sanguinamento.

Emorroidi, le cause e i fattori di rischio 

Le emorroidi si manifestano con più frequenza nelle donne, in quanto tra i fattori di rischio vi è la gravidanza con aumento di congestione di sangue nel bacino.

Hanno importanza anche:

  •  la familiarità;
  •  la stipsi;
  •  lo stile di vita: alimentazione incongrua, obesità, sedentarismo e tipologia di lavoro (coloro che sono costretti a lunghi periodi in posizione seduta o che fanno sforzi eccessivi sono più a rischio).

I sintomi

I sintomi sono di due tipi:

  • il sanguinamento: perdite rosse evidenti e copiose o anche microscopiche, ossia il paziente perde sangue in piccole quantità quotidiane, non lo vede e si anemizza;.
  • il dolore, che può essere di 3 tipi:
  • uno è quello della congestione, con una sensazione di peso, di prurito, di bruciore;
  • poi un dolore molto acuto andando in bagno, addirittura insopportabile, che indica che le emorroidi sono complicate da una ragade;
  • infine il famigerato attacco acuto di emorroidi, che si ha quando le emorroidi prolassano all’esterno e diventano gonfie, molto dolenti e irriducibili e bloccano il paziente a letto per alcuni giorni.

Questi sintomi sono spesso inversamente proporzionali, perché se le emorroidi sanguinano si sgonfiano e più sono sgonfie, meno danno fastidio; se invece le emorroidi non sanguinano sono più turgide e danno dolore.

Come curare le emorroidi

La scelta del trattamento più adeguato è strettamente correlata al grado di gravità della malattia.

Al paziente che si trova in uno stadio iniziale basterà modificare lo stile di vita con:

  • alimentazione ricca di fibre (la dieta mediterranea);
  • attività fisica quotidiana;
  • abbondante assunzione di acqua;
  • corretta igiene intima.

Esistono, inoltre, farmaci trofici a base di flavonoidi assunti per bocca e le classiche creme a base di anestetici locali e antiinfiammatori in grado di alleviare i sintomi senza però agire sulle cause relative all’origine del problema.

L’intervento chirurgico

Quando la malattia è in stadio più avanzato (III e IV grado) l’unica soluzione efficace è l’intervento chirurgico.

Fino agli anni ’90 l’intervento praticato è stato l’emorroidectomia (operazione di Milligan-Morgan).

Si tratta di una metodica che risolve il problema in maniera radicale asportando i noduli emorroidari, ma presenta un grande handicap: il dolore, sia post-operatorio sia nella convalescenza.

L’ emorroidopessi

Nel 1990 un chirurgo italiano, Antonio Longo, propose un nuovo metodo di cura della malattia che si basa sul riposizionamento delle emorroidi esteriorizzate nel canale anale, nella loro sede normale, nel canale anale, curandone quindi il prolasso, e prende il nome di emorroidopessia.

È un intervento che viene realizzato con cucitrici meccaniche (stapler), che asportano il prolasso e fissano le emorroidi all’interno.

Il risultato è un vero e proprio lifting del canale anale: rientrati nella sede normale, i cuscinetti emorroidari si sgonfiano e cessano di sanguinare e dare dolore.

L’intervento è infinitamente meno doloroso nella convalescenza e minimizza il rischio di recidiva: viene effettuato circa tre centimetri sopra l’orifizio anale, dove non ci sono più fibre del dolore.

Avviene in regime di day surgery, poiché il paziente in genere va a casa dopo una giornata.

La convalescenza è rapidissima: il paziente torna a normali abitudini di vita al 50-70 per cento dopo due giorni, al 100 per cento dopo una settimana e può fare attività sportiva dopo tre settimane.

L’intervento di Milligan-Morgan era invece molto più doloroso e la convalescenza durava un mese e mezzo.

Anche in questo campo della chirurgia, in vent’anni i progressi tecnologici sono stati grandi: oggi disponiamo di nuovi stapler più efficaci e sicuri, che hanno azzerato il rischio di sanguinamento post-operatorio ed il rischio di recidiva a distanza della malattia emorroidaria e in più nelle donne sono in grado di curare efficacemente la stipsi che spesso si associa al problema delle emorroidi: rappresentano quindi il ‘gold standard’ per la cura di questa patologia.

Chirurgia mininvasiva per i casi meno severi

Infine, in casi meno severi in cui prevale il solo sanguinamento, disponiamo ora anche di altre metodiche alternative, quali la possibilita’ di ‘sgonfiare’ i cuscinetti venosi localizzando con una sonda endorettale (doppler) le piccole arterie che le riforniscono di sangue, e procedendo alla loro legatura: chiudendo i rubinetti, le emorroidi si decongestionano e la perdita ematica viene a cessare.

Una tecnica mini-invasiva che in casi selezionati dà ottimi risultati, con una degenza di poche ore ed un decorso quasi del tutto indolore.

Per approfondire:

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Fonte dell’articolo:

GDS

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