Linfoma non Hodgkin: sintomi, diagnosi e trattamento di un eterogeneo gruppo di tumori

Per linfoma non Hodgkin si intende un ampio ed eterogeneo gruppo di tumori che originano nel sistema linfatico, oggi sempre più curabili grazie ai progressi della ricerca

I linfomi non Hodgkin sono tumori che derivano da alterazioni genetiche o molecolari di alcune cellule del sistema immunitario, in particolare dei linfociti

Nei pazienti affetti dalla malattia, queste cellule, invece di svolgere il loro compito di difesa, si replicano in modo anomalo e si accumulano negli organi che fanno parte del sistema linfatico, come milza, timo o linfonodi, dando origine a masse tumorali solide.

È importante ricordare che questi tumori possono prendere origine in tutti gli organi del corpo umano, con importanti differenze nei sintomi e prognosi.

I linfomi che rientrano nella categoria ‘non-Hodgkin’ sono molto eterogenei e si suddividono ulteriormente in sottotipi, il più diffuso è il linfoma a grandi cellule B, caratterizzati da una forte variabilità clinica e prognostica.

Ecco perché anche gli approcci terapeutici possono essere molto diversi fra loro.

L’incidenza del linfoma non Hodgkin

I linfomi non-Hodgkin colpiscono per il 95% la popolazione adulta e rappresenta in Italia il 3% di tutte le neoplasie.

Gli ultimi dati a disposizione ci dicono che sono oltre 150.000 i pazienti in Italia affetti da questa tipologia di tumori, con oltre 7.000 diagnosi negli uomini e poco più di 6.100 nelle donne nel solo 2020, secondo il Registro dei Tumori AIRTUM.

Sebbene possano colpire a qualsiasi età, l’incidenza aumenta con l’anzianità, con un’età media alla diagnosi compresa tra i 50 e i 60.

I fattori di rischio del linfoma non Hodgkin

I meccanismi biologici all’origine dei linfomi non-Hodgkin sono ancora oggetto di studio.

Come accade per tutti i tumori, esistono alcuni fattori di rischio da tenere in considerazione.

Tra i fattori di rischio non modificabili ci sono:

  • l’età: il tumore è più comune dopo i 65 anni;
  • il sesso: in media gli uomini sono più a rischio delle donne, anche se si possono fare poi dei distinguo in base al tipo di linfoma non-Hodgkin.

Tra i fattori esterni che possono aumentare il rischio di malattia troviamo invece:

  • l’esposizione ad agenti chimici come insetticidi, erbicidi e benzene;
  • l’esposizione a radiazioni.

A questi si aggiungono anche stati immunodepressivi, malattie autoimmuni, infezioni virali (come HIV o epatite C) o infezioni batteriche, come quella da Helicobacter pylori o da Chlamydia psittaci, che possono aumentare il rischio di ammalarsi di questo tipo di tumore.

Linfomi non Hodgkin, i sintomi

Spesso agli stadi iniziali l’unico segno di questo tipo di tumore è rappresentato dall’ingrossamento indolore di un linfonodo nelle regioni:

  •  cervicale;
  •  ascellare;
  •  inguinale;
  •  femorale.

Alcuni sintomi sistemici possono essere:

  • febbre;
  • sudorazione notturna;
  • perdita di peso.

Altri sintomi o segni come prurito persistente, reazione alle punture di insetti, macchie nella cute, stanchezza, inappetenza e sanguinamento possono rappresentare anch’essi indicatori della presenza di un linfoma.

Tuttavia, come detto sopra, i linfomi possono insorgere e/o coinvolgere ogni organo, quindi, i sintomi di riferimento sono molteplici, spesso subdoli.

Come effettuare diagnosi del linfoma non-Hodgkin

La diagnosi di linfoma non-Hodgkin viene fatta esclusivamente attraverso analisi oggettive: generalmente si effettuano biopsie del linfonodo o dell’organo coinvolto che, in alcuni casi, vengono affiancate da biopsie del midollo osseo.

Ulteriori esami strumentali permettono ai medici di caratterizzare in maniera più precisa il tipo di malattia, ad esempio attraverso test molecolari.

Una volta eseguita la diagnosi istologica, si procede alla stadiazione, vale a dire la definizione dello stadio di malattia, comunemente con:

  • la 18FDG-PET (tomografia ad emissione di positroni);
  • la TAC del collo, torace e addome con mezzo di contrasto;
  • la biopsia del midollo osseo.

Radiografie, TC, risonanza magnetica ed ecografie vengono utilizzate invece per monitorare la malattia nel tempo e valutarne l’evoluzione.

Le cure e le terapie attualmente disponibili

La terapia da intraprendere può essere molto diversa a seconda di numerosi fattori  come:

  •  la tipologia di linfoma;
  •  l’estensione della malattia;
  •  il tasso di crescita del tumore;
  •  l’età;
  •  le condizioni di salute del paziente.

Le diverse modalità terapeutiche attualmente disponibili in centri di alta complessità, sono:

  • chemioterapia convenzionale;
  • farmaci mirati (come gli inibitori delle chinasi);
  • immunoterapia umorale (come gli anticorpi monoclonali);
  • immunoterapia cellulare (come le CAR-T, trapianto allogenico);
  • anticorpi monoclonali bispecifici;
  • ADC (antibody-drug complex; complessi anticorpo-tossina);
  • immunomodulatori;
  • radioimmunoterapia;
  • radioterapia a fasci modulabili;
  • tomoterapia;
  • radioterapia stereotassica (gamma knife e cyber knife);
  • chirurgia dei diversi distretti anatomici (solo a scopo diagnostico o di palliazione).

Alcuni casi di linfomi indolenti, che presentano un andamento clinico più lento, possono non necessitare inizialmente di un trattamento, ma solo un attento monitoraggio, mentre nelle forme attive della malattia sono utilizzate le strategie sopraelencate singolarmente o in combinazione.

I linfomi aggressivi vengono trattati immediatamente dopo la diagnosi, spesso con la combinazione di agenti chemioterapici e anticorpi monoclonali.

Nel caso in cui il tumore non risponda alla terapia prevista o si ripresenti sotto forma di recidiva, è possibile ricorrere al trapianto di cellule staminali del sangue o, nel caso specifico del linfoma diffuso a grandi cellule B, a terapie innovative come le CAR-T anti-CD19 .

Per approfondire:

CAR-T con linfoma non Hodgkin e leucemie linfoblastiche, a Pisa trattato con successo il primo paziente

Linfoma: i 10 campanelli d’allarme da non sottovalutare

COVID-19, AIFA autorizza tre nuovi studi su Acalabrutinib, IFNβ-1a e la molecola ABX464

Fonte dell’articolo:

GDS

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