Insufficienza cardiaca: cause, sintomi e cura

L’insufficienza cardiaca è la condizione nella quale il cuore non riesce a pompare una quantità di sangue sufficiente a tutti gli organi e le parti del nostro corpo

La stessa condizione è chiamata anche scompenso cardiaco, anche se questo termine sarebbe più adatto ad indicare le fasi dell’insufficienza cardiaca caratterizzate da accumulo di liquidi in eccesso e/o danno della funzione degli altri organi determinato dal cattivo funzionamento del cuore.

Tale insufficienza è una condizione molto comune, che giunge ad interessare oltre il 5% delle persone che hanno più di 70 anni.

Nella maggior parte dei casi, si tratta di una condizione cronica, che deve essere seguita e curata per tutta la vita.

Quali sono le cause dell’insufficienza cardiaca?

L’insufficienza cardiaca può essere provocata da diverse cause, fra le quali le più frequenti sono:

  • la pressione alta (ipertensione), specie se non curata: essa aumenta il lavoro del cuore, che nel tempo può ingrossarsi (cioè sviluppare ipertrofia), e affaticarsi;
  • la malattia coronarica (malattia delle arterie che portano sangue arterioso al muscolo cardiaco), specie se ha determinato uno o più infarti, che hanno compromesso la capacità di contrarsi del cuore;
  • le malattie del muscolo cardiaco (miocardiopatie o cardiomiopatie), il più delle volte di origine sconosciuta, meno frequentemente possono essere conseguenza della assunzione di sostanze tossiche per il cuore (es. eccesso di bevande alcoliche o alcuni farmaci impiegati per la terapia dei tumori), o a infezioni virali (miocarditi); esistono inoltre forme con caratteristiche ereditarie (miocardiopatie familiari);
  • le malattie delle valvole cardiache (valvulopatie) e le malformazioni del cuore presenti dalla nascita (cardiopatie congenite), che causano un aumento del lavoro del cuore e/o un’alterazione (per eccesso o per difetto) del flusso nei vasi polmonari.

Quali sono i disturbi provocati dall’insufficienza cardiaca?

I principali disturbi (sintomi) provocati dalla Insufficienza cardiaca sono:

  • la stanchezza (astenia), la facile affaticabilità, la riduzione della capacità di compiere sforzi fisici e, nelle forme più avanzate, anche le attività più leggere (ad es. vestirsi);
  • la mancanza di respiro e l’affanno (dispnea) durante sforzo (intenso, medio o leggero, in rapporto al grado di malattia), o addirittura a riposo; caratteristica dell’insufficienza cardiaca è la difficoltà a respirare stando sdraiati, che migliora in posizione seduta o rende necessario utilizzare 2 o più cuscini per dormire;
  • il gonfiore (edema) dovuto all’accumulo di liquidi nei tessuti molli delle gambe; può essere evidente (le scarpe risultano strette, la calza lascia il segno), ma a volte può essere riconosciuto solo osservando che, premendo con le dita intorno alla caviglia o sulla faccia anteriore della gamba, si lascia l’impronta; si manifesta soprattutto alla sera;
  • la sensazione di ingombro addominale (qualche volta con dolore alla bocca dello stomaco o al fianco destro, che compare durante la attività fisica o dopo pasti anche non abbondanti) dovuto alle difficoltà digestive per ridotto apporto di sangue all’apparato digerente e all’accumulo di liquidi a livello del fegato;
  • la sensazione di palpitazioni, battito cardiaco accelerato (tachicardia) o rallentato (bradicardia) o comunque irregolare (aritmia);
  • i capogiri o vertigini, generalmente non preoccupanti se di breve durata o associati al passaggio dalla posizione sdraiata o seduta a quella in piedi; da segnalare prontamente al medico se indipendenti dal cambiamento di posizione e associati ad accelerazione, rallentamento o irregolarità del battito cardiaco.

Come si cura l’insufficienza cardiaca?

L’insufficienza cardiaca è nella maggior parte dei casi una condizione cronica; per questo merita di essere seguita e curata per tutta la vita.

Solo in alcuni casi (ad es. intervento chirurgico per una malattia valvolare che non ha ancora determinato un danno irreversibile al muscolo cardiaco) è possibile guarire definitivamente.

L’obiettivo delle cure è allungare la vita e migliorare la qualità di vita del paziente con insufficienza cardiaca.

La terapia della insufficienza cardiaca si articola sui farmaci e su alcuni trattamenti non farmacologici, fra i quali i più importanti sono alcuni interventi cardiochirurgici e, recentemente, la applicazioni di dispositivi elettrici quali defibrillatori e pace-maker.

Parte integrante del programma terapeutico è rappresentata dalla adozione di uno stile di vita adeguato, sia in termine di misure generali di prevenzione cardiovascolare, che rispetto ad alcune norme specifiche (riduzione dell’introito di sale, limitazione della assunzione di acqua e liquidi in genere) che nel soggetto con insufficienza cardiaca acquistano un valore particolare.

Farmaci per l’insufficienza cardiaca

Le terapie farmacologiche disponibili oggi hanno consentito un sostanziale miglioramento della storia naturale dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca.

In questo ambito esistono farmaci in grado di curare alcuni dei sintomi più invalidanti della insufficienza cardiaca (è il caso dei diuretici rispetto alla ritenzione di liquidi) ed altri in grado di contrastare, rallentare o addirittura far regredire i meccanismi alla base della malattia insufficienza cardiaca.

La maggior parte dei pazienti con insufficienza cardiaca assume diverse medicine; anche se può essere difficile e scomodo prendere tanti farmaci diversi, l’obiettivo è quello di mantenere il più a lungo possibile le condizioni di compenso (e quindi il benessere del paziente) e utilizzare al massimo possibile i farmaci che sono in grado di “curare” la insufficienza cardiaca, preservando il cuore dal peggioramento o addirittura migliorandone le prestazioni.

Vengono riportate di seguito le classi di farmaci più comunemente impiegate nel trattamento della insufficienza cardiaca.

Ovviamente non tutti i pazienti devono assumere tutti i farmaci qui elencati

Diuretici: eliminano il sovraccarico di liquidi che si produce per effetto della disfunzione cardiaca. La dose del diuretico può variare in rapporto alle esigenze del paziente che dovrebbe, in alcune circostanze, essere in grado di “autogestire” questo farmaco (es. aumento del dosaggio in caso di incremento di peso superiore a 1.5-2 kg da un giorno all’altro, segno di ritenzione idrica in aumento). Gli effetti indesiderati più comuni sono rappresentati dall’abbassamento della pressione, dai crampi e dalla riduzione dei livelli di potassio nel sangue.

Digitale: aumenta la capacità di contrazione del cuore e riduce la frequenza dei battiti. È utile a migliorare i sintomi nei pazienti con insufficienza cardiaca più avanzata. Periodicamente è necessario controllare i livelli di digitale nel sangue, per evitare il sovradosaggio che può provocare un eccessivo rallentamento della frequenza cardiaca, disturbi del ritmo, nausea.

ACE-inibitori:agiscono come vasodilatatori, abbassando la pressione e riducendo così il lavoro del cuore; inoltre contrastano alcuni dei meccanismi di progressione della insufficienza cardiaca, esercitando in tal senso un effetto “curativo”. Questi farmaci, oltre ad agire su alcuni dei sintomi della insufficienza cardiaca, sono in grado di prolungare la vita dei pazienti affetti da insufficienza e/o scompenso cardiaco, migliorandone quindi la prognosi. Sono impiegati anche nella terapia della pressione alta e dopo un infarto miocardio. Gli effetti collaterali più frequenti sono rappresentati dalla tosse, dall’eccessivo abbassamento dei valori pressori, e, molto più raramente, dall’aumento dei livelli di potassio nel sangue e dal peggioramento degli indici di funzionalità renale. Per prevenire questi problemi, si comincia di solito con dosi basse, per aumentarle poi gradatamente, e si controllano periodicamente gli esami di laboratorio.

Inibitori recettoriali dell’angiotensina II: agiscono con un meccanismo simile a quello degli ACE-inibitori, anche se fra gli effetti collaterali la tosse è meno frequente.

Beta-bloccanti: agiscono riducendo la frequenza cardiaca, la pressione e in ultima analisi il lavoro del cuore, permettendo in tal modo al muscolo cardiaco di ricostituire gradatamente le proprie riserve energetiche. I beta-bloccanti possono invertire la tendenza del cuore insufficiente a dilatarsi e a contrarsi sempre meno. Questi farmaci, oltre a migliorare la funzione di pompa del cuore, sono anch’essi in grado di prolungare la vita. Sono impiegati anche per la pressione alta, l’angina (dolore al petto dovuto a riduzione del flusso di sangue al muscolo cardiaco) e l’infarto. Nei pazienti con insufficienza cardiaca il loro impiego richiede molta prudenza all’inizio del trattamento: per avviare e portare alle dosi adeguate questa terapia, bisogna cominciare con dosi molto basse che vengono gradatamente aumentate. Infatti all’inizio, proprio perché i beta-bloccanti riducono il lavoro del cuore, i pazienti possono avvertire maggiore stanchezza e, in alcuni casi, lo scompenso può peggiorare. Gli effetti indesiderati più frequenti sono legati proprio a questi effetti sul cuore e alla loro capacità di peggiorare l’asma nei soggetti predisposti.

Antialdosteronici: questi farmaci sono diuretici scarsamente efficaci in quanto tali, che tuttavia rispetto agli altri hanno la peculiarità di ostacolare la perdita di potassio, uno degli effetti collaterali più temibili dei diuretici impiegati per contrastare la ritenzione idrica. Recentemente lo spironolattone, il capostipite di questa classe farmacologia, si è dimostrato in grado di prolungare la vita dei pazienti con insufficienza cardiaca avanzata.

ARNI – Sacubitril/valsartan: Gli ARNI (antagonisti del recettore della neprilisina e del recettore dell’angiotensina) rappresentano la nuova classe di farmaci utilizzati nel trattamento terapeutico innovativo dello scompenso cardiaco. La combinazione dei due principi attivi del Sacubitril e valsartan attivano un meccanismo ormonale che consente, per la prima volta, di potenziare gli effetti del sistema dei peptidi natriuretici (aumento dell’eliminazione di sodio attraverso le urine) e contemporaneamente mantenere l’inibizione del sistema renina-angiotensina (regolare la pressione sanguigna).
La terapia innovativa con Sacubitril/valsartan ha dimostrato di ridurre la mortalità per cause cardiovascolari del 20% rispetto alla terapia di riferimento, determinando nei pazienti più giovani con scompenso cardiaco cronico con frazione d’eiezione ridotta, un prolungamento della sopravvivenza di un anno e mezzo, con punte fino a 2 anni.

SGLT2 inibitori: sono una nuova classe di farmaci ipoglicemizzanti in grado di ridurre i sintomi più invalidanti delle malattie cardiovascolari. Questi agiscono sulla riduzione della glicemia determinando un aumento dell’escrezione urinaria di glucosio tale per cui influenzerebbe anche la riduzione della pressione arteriosa (in media 4 mmHg), secondaria alla riduzione del sodio e al volume circolante, garantendo notevoli benefici cardiovascolari.
Studi clinici hanno dimostrato che gli inibitori SGLT2 che sono stati approvati per il trattamento del Diabete mellito di tipo 2 e che hanno mostrato risultati significativi sulla riduzione del rischio cardiovascolare, sono stati Empagliflozin, Canagliflozin e Dapagliflozin.

Molti altri farmaci possono essere utilizzati da pazienti affetti da insufficienza cardiaca, a seconda anche della presenza di altre patologie o di indicazioni specifiche.

È il caso di alcuni antiaritmici, degli anticoagulanti (soprattutto in caso di fibrillazione atriale coesistente), degli antiaggreganti piastrinici, delle statine (farmaci in grado di ridurre i livelli plasmatici di colesterolo), dei nitroderivati e dei calcioantagonisti, di vitamine, ferro e recentemente eritropoietina, impiegati per contrastare l’anemia, che può peggiorare i sintomi dei pazienti con insufficienza cardiaca.

L’insufficienza cardiaca si cura solo con le medicine?

La maggior parte dei pazienti con insufficienza cardiaca può essere curata solo con i farmaci.

Negli ultimi due o tre anni tuttavia, in alcune condizioni specifiche da individuare e discutere con il medico di famiglia, il cardiologo e il cardiochirurgo, si è affermata la utilità di procedure interventistiche (impianto di pacemaker biventricolare o di defibrillatore) o cardiochirurgiche (correzione della insufficienza mitralica, interventi di plastica o rimodellamento ventricolare) che non sostituiscono ma integrano la terapia medica.

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