Chiamate perse o chiamate improprie? Il 112 e il ruolo di filtro delle richieste dannose per la qualità della risposta

Continua il nostro viaggio nelle polemiche sul numero unico 112, cercando di usare le parole corrette per evitare sensazionalismo ed evidenziare i problemi ed i vantaggi di un sistema nuovo

Da sempre nel mondo del dispatch esistono due problematiche, una l’opposto dell’altra. Da un lato ci sono le chiamate improprie, ovvero quelle chiamate che non dovrebbero occupare una linea di emergenza perché non si tratta di una richiesta che può essere risolta da ambulanze, Carabinieri, Polizia o Vigili del Fuoco.

I dati da questo punto di vista sono estremamente positivi. Soltanto in Piemonte infatti il numero delle chiamate filtrate e definite non congrue sono state quasi una su due, e il 112 ha garantito che non venissero inviati senza motivo i mezzi di soccorso sul posto, concentrandosi su necessità più contingenti.

Il numero delle chiamate improprie è sempre stato stabile nel tempo, ed ha sempre rappresentato un problema per tutti i sistemi di emergenza e soccorso. Le ambulanze da emergenza infatti spesso vengono richieste per attività a cui sono già dedicati diversi servizi di ambulanza da trasporto, equipaggiate con personale non specializzato nelle emergenze. Il Piemonte per esempio, dichiara che il numero unico 112 ha garantito il filtraggio di 682 mila chiamate non congrue. Il filtro riduce il carico sulle centrali operative anche delle segnalazioni, degli errori di chiamata, delle segnalazioni di situazioni non emergenziali o doppie. Su 1 milione 488 mila telefonate sono state inoltrate così 805.875 chiamate, di cui 362.919 all’emergenza sanitaria, 250.128 ai Carabinieri, 104.950 alla Polizia, 76.049 ai Vigili del Fuoco e 11.829 ai vigili urbani di Torino.

“Il numero unico – ha spiegato l’assessore regionale Antonio Saitta – è nato dall’esigenza di creare un maggiore coordinamento fra i mezzi di soccorso. Il filtro delle chiamate è importante perché consente a chi deve intervenire di concentrarsi solo sulle reali emergenze. In Piemonte siamo pronti a potenziare le due centrali uniche, aumentando il numero degli addetti da 34 a 44 a Grugliasco e da 32 a 37 a Saluzzo. Le procedure sono in corso: il personale sarà formato con un corso di circa 200 ore, comprensivo di un affiancamento sul campo”.

C’è un altro dato però che è importante e che Regione Piemonte non ha messo in evidenza. Il dato è che il 112 permette – grazie all’innovazione tecnologica apportata – di recuperare le chiamate perse, ovvero quelle chiamate che non sono state prese per tempo dall’operatore del 112. Si parla di percentuali molto basse, ma sono esattamente quelle persone che, fino all’arrivo del numero unico, potevano essere date per perse dato che nessuna centrale di secondo livello ha modo o metodo per il ricontatto del chiamante. Se infatti il lavoro di filtraggio delle chiamate improprie dovesse essere svolto da ogni singola centrale, questo problema bloccherebbe parecchie delle attività svolte dai servizi di emergenza e – a volte – rallenterebbe proprio l’invio dei soccorsi, problematica principe da risolvere in ogni situazione.

Ma non c’è soltanto un semplice dato numerico sulla quantità delle chiamate perse, rintracciate o filtrate. Il NUE112 infatti ha la possibilità di migliorare efficacemente e radicalmente i tempi di invio dei mezzi di emergenza sul target. Nel sistema odierno infatti la CUR ha una indicazione generica sulla localizzazione del chiamante. Una indicazione estremamente precisa, ma non sempre perfetta. Le nuove tecnologie che sono in fase di implementazione sulle reti mobili invece permetteranno la localizzazione del chiamante con una precisione al centimetro. Una possibilità che garantisce un ancor più rapido delivery della scheda chiamate al servizio di emergenza opportuno, e quindi l’apertura immediata di una richiesta di mezzo sul target.

Peraltro, sia in Lombardia che in regioni dove è presente un sistema a pre-filtro (l’Emilia-Romagna) sembra esserci un miglioramento della risposta sanitaria all’emergenza con una riduzione dei tempi di partenza dei mezzi. I dati aggiornati però non sono ancora ufficiali e non è possibile approntare una discussione adeguata su quanto il 112 stia efficacemente migliorando il lavoro delle centrali di secondo livello. Non resta che attendere l’aggiornamento e il miglioramento dei sistemi utilizzati in Italia, sperando che anche uno dei difetti su cui si sta lavorando per migliorare il 112 venga presto preso in considerazione nella discussione, ovvero la preparazione per l’approccio all’arresto cardiaco extra-ospedaliero.

Una ricerca europea infatti sulla capacità di attivare una corretta T-CPR (spiegazione telefonica delle manovre di rianimazione cardiocircolatoria ndr) dimostra che fra sistemi ad 1 centrale e sistemi a 2 livelli ci sono sostanziali differenze. Il prospetto di studio chiamato EUROCALL è stato condotto dal primo al 30 aprile 2013 dall’European Resuscitation Council. I dati sono stati pubblicati a febbraio 2017 e sicuramente, oggi, darebbero ulteriori novità se aggiornati con le novità tecniche in vigore.

L’obiettivo di questo studio è stato quello di capire quale sia il ritardo che il sistema di dispatch comporta per far arrivare una risposta EMS al chiamante. Lo studio è stato realizzato in Grecia, Cipro, Romania, Austria, Croazia e Serbia. La ricerca è molto approfondita ma va tenuto in considerazione che nella maggior parte delle nazioni in cui è stato condotto il 112 era “ancora sottoutilizzato rispetto alle sue potenzialità ma è un importante sistema per uniformare le risposte alle emergenze”. Lo studio EUROCALL ha indicato che quando si effettua una chiamata di emergenza con il numero 112 diverso tempo può passare prima di avere una risposta da un professionista medico adeguato a gestire un arresto cardiaco per via telefonica. “Il tempo per contattare un EMCC è spesso più lungo quando c’è un doppio step, rispetto a quando si può procedere con uno step unico”.

Nel 33% delle chiamate servono più di 30 secondi per raggiungere l’operatore medico adeguato. Anche se non è stabilito un tempo ottimale per una risposta sanitaria all’emergenza, nel caso di arresto cardiaco sappiamo che il survival rate decresce del 10% per ogni minuto di ritardo nella esecuzione di un massaggio cardiaco. Dove si potrebbe andare a colpire – nella gestione del sistema – affinché l’invio del mezzo avvenga nel minor tempo possibile? C’è qualche passaggio dove si potrebbero tagliare minuti, invece che focalizzarsi sui primi 30 secondi? Una domanda aperta che cercheremo di approfondire e di investigare nelle prossime settimane.

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