Arterite di Horton: sintomi, diagnosi e trattamento di questa vasculite

Chiamata anche arterite a cellule giganti, arterite gigantocellulare o arterite temporale, l’arterite di Horton è una forma di vasculite che riguarda prevalentemente le arterie di testa e collo

Possibile causa di cefalea tra gli over 50, è molto più diffusa tra le donne che tra gli uomini.

E, secondo le stime, colpisce 1-5 persone ogni 10.000.

Caratterizzata da cefalea e dolore al cuoio capelluto e alla mandibola, nei casi più gravi può generare febbre, malessere e la necrosi dei tessuti irrorati dalla parte terminale delle arterie.

Le cause non sono ancora note, ma gli studi più recenti hanno dimostrato come alla base ci sia una combinazione di fattori ambientali e genetici.

L’arterite di Horton è un’infiammazione dei vasi sanguigni che colpisce in special modo le arterie del distretto testa-collo

Più diffusa nella popolazione adulta di sesso femminile, sembra colpire in modo maggiore le popolazioni del Nord Europa.

La diagnosi viene effettuata in genere tra i 70 e i 75 anni in quanto, specialmente agli esordi, i suoi sintomi non sono così distinguibili.

La sintomatologia è anzi molto simile a quella di una cefalea, con mal di testa, ipersensibilità del cuoio capelluto, claudicazione mandibolare e perdita della vista.

La sua più grave complicanza è rappresentata proprio dai sintomi oculari, riscontrabili nel 20-30% dei pazienti e talvolta responsabili di una cecità monoculare irreversibile.

Le arterie sono infatti flessibili: le loro pareti, seppur spesse, sono elastiche.

La funzione che svolgono è fondamentale.

Servono infatti a trasportare il sangue ricco d’ossigeno dal ventricolo sinistro del cuore agli organi e ai tessuti, passando dall’aorta, da arterie sempre più piccole e fino ai capillari.

Quando le arterie si infiammano, si ingrossano in modo anomalo e ostacolano il normale flusso sanguigno.

È a questo punto che la sintomatologia dell’arterite di Horton si origina.

L’arterite di Horton non ha cause ad oggi note

Gli studiosi sono concordi nell’imputare come possibile cause dalla sua insorgenza una combinazione di fattori genetici e ambientali (infezioni di tipo batterico o virale).

Esistono però alcuni fattori di rischio, a cominciare dal sesso e dall’età.

La patologia colpisce molto di rado sotto i 50-55 anni, e diventa decisamente più frequente a partire dai 65-70.

Le donne vengono colpite due volte di più rispetto agli uomini, e il più elevato numero di casi si registra nel Nord Europa (soprattutto nella penisola scandinava).

Il principale fattore di rischio è però rappresentato dalla polimialgia reumatica: il 15% di chi soffre di tale patologia soffre anche di arterite di Horton.

Infiammazione a livello muscolare, la polimialgia reumatica origina inizialmente nei muscoli di spalle e collo per poi diffondersi in tutto il corpo.

Anch’essa causata da una combinazione di fattori genetici e ambientali, provoca dolori e rigidità muscolare.

Diagnosticare precocemente l’arterite di Horton non è semplice

Nelle sue fasi iniziali può facilmente essere scambiata per una normale influenza ma, a differenza di quest’ultima, provoca un dolore alla testa – localizzato sulle tempie – che non passa neanche con i comuni antipiretici.

Col passare dei giorni la sintomatologia peggiora e, alla cefalea, si accompagnano un senso d’indolenzimento a livello dell’area temporale del cranio, dolore alla mascella e problemi alla vista (visione doppia o perdita della vista).

Il sintomo tipico, dunque, è il male alle tempie (in genere bilaterale ma anche unilaterale o sulla fronte).

Ma il paziente può avvertire anche:

  • dolore al cuoio capelluto, quando poggia la testa o quando si pettina
  • febbre, stanchezza, dolore e rigidità a livello di spalle, collo e articolazioni
  • dolore alla mascella
  • dimagrimento senza causa apparente
  • gonfiore delle arterie interessate
  • dolore alla lingua, specialmente quando si parla e si mangia

Prestare attenzione a questi sintomi è fondamentale, in quanto, se trascurata, l’arterite di Horton può dare vita a serie complicanze

La più frequente è la cecità: i vasi sanguigni si gonfiano e si restringono, e gli occhi vengono irrorati di meno.

La vista viene dunque compromessa e si origina una perdita progressiva che, se non curata, può condurre alla cecità totale.

Altre complicanze della patologia, più rare, sono l’aneurisma aortico e l’ictus.

Il primo è una dilatazione anomala permanente di un piccolo tratto d’aorta (se si rompe l’aorta, il paziente può incorrere in una fatale emorragia interna); il secondo è causato dall’ostruzione dei vasi arteriosi da parte di un coagulo di sangue.

La diagnosi dell’arterite di Horton avviene in più fasi

La visita comincia con un esame obiettivo.

Il medico si informa sulla storia clinica e familiare del paziente, verifica che non soffra di polimialgia reumatica, prende nota dei suoi sintomi e controlla che le arterie temporali non siano gonfie e dure. In caso sospetti l’arterite prescriverà specifici esami del sangue: la VES (test di sedimentazione degli eritrociti) valuta la velocità con cui i globuli rossi si depositano sul fondo della provetta.

Più velocemente si depositano, maggiore è la VES, più è probabile la presenza di un’infiammazione.

Un altro importante indicatore è la proteina C-reattiva, prodotta dal fegato: valori elevati sono sintomo di uno stato infiammatorio.

Al bisogno, è possibile sottoporsi ad esami strumentali per avere una certezza nella diagnosi (ma anche in un secondo momento, per valutare che la terapia sia efficace):

  • la risonanza magnetica con mezzo di contrasto consente di vedere come l’infiammazione ha modificato i vasi sanguigni;
  • l’ecodoppler “fotografa” le arterie e le vene;
  • la PET inietta nelle arterie un radiofarmaco, per valutare che le arterie non siano cambiate a causa dell’infiammazione (a differenza degli altri esami, questo è più invasivo in quanto vengono impiegate radiazioni ionizzanti).

L’esame più utile per la diagnosi di arterite di Horton è però la biopsia

Col paziente sottoposto ad anestesia locale, il medico va ad esportare un piccolo pezzo d’arteria temporale per osservarlo al microscopio.

Se le cellule sono più grandi di quanto dovrebbero (ma bisogna fare attenzione a prelevare porzioni d’arteria infiammate per davvero), la diagnosi è certa.

Terapie

L’arterite di Horton viene trattata con farmaci corticosteroidi, per via della loro forte capacità antinfiammatoria.

Tuttavia, si tratta di un processo lungo.

Se i primi effetti si riscontrano dopo qualche giorno, per guarire dall’arterite di Horton ci vogliono 12-24 mesi.

È necessario proseguire dunque a lungo la cura, verificando periodicamente la VES e i livelli di proteina C-reattiva: quando i loro valori torneranno normali, il paziente potrà dirsi guarito.

Specialmente nei pazienti più anziani, però, la velocità di eritrosedimentazione non può essere l’unico parametro considerato.

I corticosteroidi, sebbene dopo il primo momento vengano ridotti piano piano fino a trovare la dose minima che produce effetti, sono farmaci forti e non privi di effetti collaterali.

La loro assunzione è correlata ad un maggior rischio di sviluppare osteoporosi, ipertensione arteriosa, diabete, debolezza muscolare, glaucoma, cataratta, aumento di peso, indebolimento del sistema immunitario e ipersensibilità della cute.

Proprio per via degli effetti collaterali, l’assunzione dei corticosteroidi richiede una certa accortezza.

Il paziente deve modificare la sua alimentazione per scongiurare l’insorgenza di ipertensione e iperglicemia, eliminando dolci e grassi e privilegiando frutta, verdura e cibi magri.

Dovrà poi fare attività fisica, e assumere integratori a base di vitamina D e di calcio.

Attualmente, tuttavia, si tende a riservare i corticosteroidi ai casi più seri, quelli in cui si rende necessario intervenire tempestivamente per evitare la perdita della vista.

Di recente, l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha approvato l’utilizzo del tocilizumab come primo farmaco contro l’arterite di Horton

Somministrato sottocute, in associazione con il prednisone (utilizzato così in dosi minori), nei pazienti testati ha determinato una remissione completa della malattia senza sintomi.

Già impiegato per l’artrite reumatoide nei casi moderati e gravi, per l’artrite idiopatica giovanile sistemica e per l’artrite idiopatica giovanile poliarticolare, viene impiegato ora anche per l’arterite a cellule giganti (ma non in via endovenosa).

Tutti i pazienti, se non sussistono controindicazioni, devono poi essere sottoposti ad un trattamento con aspirina a basso dosaggio per scongiurare gli eventi ischemici.

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