Il fascino perverso del fuoripista. Rischi per chi lo fa e chi deve soccorrere

Le richieste di soccorso sulle montagne purtroppo aumentano ad ogni stagione, complice la sventatezza di molti sciatori, la scarsa attenzione ai rischi del meteo, peraltro sempre segnalati in anticipo e con sempre maggiore precisione e invece purtroppo stupidamente ignorati.

A questo si aggiunge l’abitudine di affidarsi al fascino del fuoripista. È vero, chi ama gli sport sulla neve, ama la natura e si emoziona nello scoprire nuovi percorsi, meglio se non battuti. Ma il pericolo è dietro l’angolo e sorprende anche i più esperti, come ahimè insegna la cronaca.

Affrontare i fuori pista significa rischiare di finire in un crepaccio; richiede una forma fisica perfetta perché è molto faticoso, più di una normale discesa sui percorsi ufficiali. Più seducente senza dubbio, ma anche molto pericoloso. Richiede un abbigliamento adatto, in grado di resistere a temperature molto basse e un equipaggiamento completo di cellulare e apparecchi di segnalazione per la ricerca di persone sepolte.

Non è accettabile l’idea di affrontare a cuor leggero una situazione di oggettivo rischio, la coscienza e il buon senso devono prevalere sul proprio egoistico piacere, anche in virtù di un altro aspetto, troppo spesso trascurato e invece fondamentale: essere spericolati, non mette a rischio solo la propria incolumità, ma anche quella di chi dovrà soccorrere la vittima.

I soccorsi alpino e speleologico sono costretti a intervenire in situazioni di estremo pericolo, ad inerpicarsi su sentieri impervi, a calarsi nei crepacci, ad affrontare gelo e nebbia, rischiando loro stessi la vita. La tecnologia sta facendo progressi notevoli anche sul fronte del soccorso, vedi il progetto Sherpa, ma ciò non toglie che debba crescere nell’opinione pubblica l’attenzione ai pericoli di attività e sport vissuti in modo irresponsabile.

Nel 2010 ci fu la proposta di legge di punire col carcere chiunque avesse provocato una valanga. L’emendamento fu respinto e della proposta non se ne fece nulla, anche perché si levarono da più parti le proteste, da alpinisti di rango come Reinhold Messner a professionisti della montagna come Simone Moro, Hans Kammerlander a Mario Merelli.

Tutti si prodigarono nel sottolineare le differenze fra veri alpinisti e sciatori della domenica. Sembrò più sensato considerare come deterrente l’aspetto della prevenzione, incoraggiando i mezzi di comunicazione a informare sui pericoli dell’alta quota, delle valanghe e dei comportamenti irresponsabili. Si auspicarono maggiori controlli sulle piste, multe a coloro che non rispettano le regole. Si invocò la formazione come la chiave di volta di un problema ogni anno più imponente.

A giudicare dal numero di incidenti e relativi interventi, non sembra si sia ancora concretizzata una rivoluzione della mentalità e dei comportamenti.

Il nostro sforzo, anche dalle pagine di Emergency Live, sarà di tenere alta l’attenzione sul problema, sollecitando innanzitutto i soccorritori a intervenire con i propri contributi sull’argomento, denunciando omissioni ed errori, ma soprattutto suggerendo iniziative utili ad evitare incidenti e nuove vittime.

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