Cardiotocografia: il monitoraggio in gravidanza

La Cardiotocografia è l’esame del monitoraggio in gravidanza serve per valutare lo stato di salute del nascituro

Cardiotocografia: in gravidanza è importante monitorare con costanza e frequenza lo stato di salute del bambino, per prevenire o individuare per tempo eventuali problematiche

Il monitoraggio cardiotocografico è un esame non invasivo cui si sottopongono le future mamme e che può essere effettuato dalla 27esima settimana in caso di necessità, ma più comunemente si comincia dalla 37esima o comunque verso le ultime settimane di gestazione.

Scopo di questo controllo è valutare il benessere del feto e registrare la frequenza delle eventuali contrazioni della mamma, quindi le reazioni del bambino.

É utile anche durante il travaglio per valutare lo status del parto, se va quindi stimolato oppure se è necessario intervenire con un cesareo, anche se i medici devono prestare molta attenzione al rischio di falsi positivi.

Cos’è il monitoraggio cardiotocografico?

Il monitoraggio cardiotocografico o cardiotocografia è un esame non invasivo che serve per controllare il benessere fetale (monitorando la sua frequenza cardiaca) ma anche per valutare il livello di eventuali contrazioni uterine in corso per la futura mamma.

Lo strumento utile a questo controllo è il cardiotocografo, con il quale si registra il battito cardiaco del bambino.

Solitamente questo esame si ripete una volta a settimana fino all’insorgere del travaglio e ogni sessione dura almeno mezz’ora, il tempo necessario per valutare le variazioni del battito del nascituro e per cogliere qualche sporadica contrazione.

Per capire se va tutto bene il bambino deve essere sveglio: nel caso in cui si addormenti e la sua frequenza risulti pertanto più regolare rispetto allo stato di veglia, si attende qualche minuto, stimolandolo con un massaggio, oppure si somministra alla mamma una bevanda zuccherata.

Come si fa il monitoraggio cardiotocografico?

Il monitoraggio cardiotocografico avviene facendo sdraiare o sedere la futura mamma e sul suo addome si appoggiano due sonde collegate al cardiotocografo. Una di queste sonde è a ultrasuoni e serve a rilevare il battito cardiaco fetale: questo strumento traduce le variazioni del battito in un grafico che viene stampato in forma cartacea.

La seconda sonda serve invece a misurare intensità e frequenza delle contrazioni uterine della mamma e si applica infatti in corrispondenza del fondo dell’utero con una fascia: il sensore registra le variazioni di pressione della parete addominale della mamma causate dalle contrazioni e anche in questo caso i dati vengono tradotti in un grafico stampato dalla macchina.

La mamma non avverte alcun dolore, l’esame non è invasivo e il risultato è praticamente istantaneo e stampato su supporto cartaceo in tempo reale.

Cosa si misura durante la cardiotocografia?

Durante la cardiotocografiai medici ricavano informazioni sul livello di benessere del nascituro, date non tanto dalla misurazione istantanea del suo battito, quanto dall’osservazione nel tempo delle variazioni della frequenza cardiaca.

Se il bambino ha un battito regolare, allora probabilmente non sono in corso complicazioni.

Al contrario, se il suo battito non è variabile (variabilità a breve termine ed entro un range di normalità), allora potrebbe esserci in corso un problema.

Il monitoraggio cardiotocografico consente di capire molto anche dalle reazioni del battito alle contrazioni uterine: se in corrispondenza delle contrazioni che avverte anche la mamma la frequenza cardiaca del bambino subisce brusche decelerazioni può significare che il nascituro è stressato, situazione normale ma solo se il travaglio è alla fine.

Se il bambino si trova in questa condizione già dall’inizio del travaglio è necessario intervenire o quantomeno indagarne il motivo.

I parametri che si ricavano dalla cardiotocografia

Dal monitoraggio cardiotocografico, ginecologo e ostetrica valutano 5 parametri:

  • la linea di base, ossia la frequenza cardiaca basale media (FCF)
  • la variabilità, ossia la differenza tra frequenza massima e minima (10 – 15 battiti per minuto);
  • la presenza di accelerazioni, ossia l’aumento della frequenza cardiaca media;
  • la presenza di decelerazioni, ossia la netta riduzione della frequenza cardiaca media;
  • i movimenti attivi fetali (MAF), ossia la presenza di movimenti fetali percepiti dalla mamma.

Se l’esito dell’esame è dubbio, ci sono elementi sospetti o parametri non nella norma, il ginecologo può prescrivere ulteriori accertamenti ed esami come l’ecografia o la flussimetria doppler, che consente di verificare il corretto scambio di ossigeno tra la placenta e il feto.

I falsi positivi rilevati durante l’esame

La cardiotocografia in fase di travaglio rappresenta la normalità ed anzi non c’è mamma che non sia sottoposta a questo controllo prima del parto; tuttavia ha una scarsa specificità e questo rende più complessa l’analisi e la lettura del grafico.

Infatti, in molti casi, la presenza di anomalie nel tracciato del monitoraggio genera dei falsi positivi, ovvero anomalie che di fatto non corrispondono ad una sofferenza fetale.

Ecco perché, in caso di dubbi, ginecologi ed ostetriche dovrebbero procedere con esami ulteriori e diversi che indaghino l’effettivo stato di salute del bambino.

L’interpretazione del tracciato del monitoraggio cardiotocografico è infatti molto complessa: i medici devono tenere conto non solo dei dati che si trovano ad analizzare in quel momento, ma anche della storia clinica della futura mamma completandola infine con altri esami strumentali, come l’ecografia ostetrica.

Questo consente loro di avere un quadro completo dello stato di salute del bambino e ad evitare interventi invasivi come un parto cesareo quando in realtà non è necessario.

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Fonte dell’articolo

Pagine Bianche

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