V.S.S.T. VEICOLI SPECIALIZZATI SOCCORSO TRAUMI - Storia del Progetto Twin di Bologna Soccorso

IL VANO SANITARIO
Ma come era fatto, dentro, un V.S.S.T.?

La prima cosa che salta all’occhio, rispetto al panorama delle ambulanze coeve, è una suddivisione degli spazi interni completamente nuova. Talmente innovativa che in effetti risulta ancor oggi unica, dato che non sono conosciute applicazioni ulteriori. Il team di studio infatti pensò a due aree ben distinte fra una zona equipaggio da utilizzare durante l’avvicinamento all’obiettivo e la zona sanitaria vera e propria. In pratica, l’intero equipaggio di 4 persone poteva viaggiare con maggior comodità e soprattutto sicurezza prendendo posto nei 4 sedili dedicati, rivolti nella direzione di marcia, in avvicinamento all’obiettivo. Una volta caricato il paziente, l’equipaggio aveva invece a disposizione il vano posteriore per intervenire. Questo permise quindi di rinunciare a soluzioni di compromesso che sono invece necessarie nelle comuni ambulanze dove – che la macchina proceda a vuoto o con il paziente a bordo – lo spazio per gli operatori è sempre lo stesso. Risulta evidente invece che in questo modo si ha sia il vantaggio di trasferimenti meno affaticanti ( un conto è viaggiare su strapuntini anche in andata od in rientro, altro su un sedile vero e fronte marcia) sia quello della sicurezza, dato che i 4 sedili singoli erano dotati di cinture di sicurezza “normali” e non ventrali come i seggiolini o le panchette delle ambulanze classiche.

Tra le innovazioni di questi mezzi, sempre con riguardo al vano barella, si deve segnalare la presenza di piani di appoggio sagomati in funzione delle attrezzature che avrebbero dovuto ospitare: vi erano quindi vani e nicchie specifici per i respiratori, per il monitor, l’ Ambu e così via; è importante sottolineare anche come l’accuratezza dello studio avesse previsto la possibilità di smontaggio di questi piani, incassi, pannellature perché potessero essere sostituite da altre nel caso in cui – negli anni – si fosse resa necessaria la sostituzione delle attrezzature con altre più evolute! Questi piani erano realizzati in VTR, e quindi facilmente lavabili e disinfettabili, elemento importante in ogni mezzo sanitario ma ancor più in veicoli dedicati esclusivamente alle vittime di traumi, laddove dunque più elevata è la possibilità di contaminazione con materiale organico del paziente. Altro elemento caratterizzante questi allestimenti stava nell’impianto elettrico: questo era rispondente anche alle normative USA, in particolare a quelle federali sulla sicurezza FMCSR, come è riportato nella brochure di Grazia.

Il progetto aveva evidenziato la necessità di un doppio impianto elettrico, con quello che alimentava la zona sanitaria completamente separato da quello del veicolo base, il che aveva comportato la necessità di installare alternatori doppi dedicati e due diverse serie di batterie. Tutti gli apparecchi di comando e quelli di controllo erano posizionarti in alto sulla fiancata destra del comparto sanitario e fissati su rack, di conseguenza facilmente asportabili e sostituibili. Un inverter forniva corrente a 220 V CA per l’alimentazione delle attrezzature mediche funzionanti con questa distribuzione. Anche il gruppo dell’aria compressa era particolare, essendo dotato di doppio filtro dell’aria con una portata fino a 170 l/m. Il vacuum era a pompa monodisco a secco con filtro micro-fine e con silenziatore posto allo scarico. Elemento per la sicurezza degli operatori – oggi presente su ogni ambulanza ma presidio pressoché sconosciuto 25 anni fa – era inoltre la presenza di 3 caschi di protezione: si trattava di Gallet F1S con visiera termoschermata e completi di paranuca alluminizzato.

Si aggiungano poi due autorespiratori Sekur-Air della Pirelli, da usare in situazioni che potessero presentare elementi di rischio particolari ed avremo un quadro di un mezzo davvero polivalente ed in grado di intervenire – dopo adeguata formazione del personale – anche in attesa dei mezzi dei Vigili del Fuoco. Su un veicolo nato espressamente per il soccorso traumatizzati, va da sé che dotazione importante erano le barelle: e sui Twin trovavano posto supporti in grado di fare fronte ai diversi tipi di soccorso ipotizzabili. Non solo, quindi, la barella “ordinaria” (ma comunque posizionabile a diverse altezze per facilitare il trasbordo su qualsiasi tipo di lettino dell’ospedale), o la altrettanto comune barella a cucchiaio, ma una spinale in legno – da notare come la spinale non era all’epoca ancora universalmente montata -, una Toboga, un materasso a depressione, una seconda barellina leggera in alluminio, pieghevole e che all’occasione poteva fungere da seconda spinale, 2 diversi immobilizzatori “Ked””, sistemi di immobilizzazione per arti superiori ed inferiori, un estricatore “Force”, e la serie completa di collari cervicali “Stifneck”.

Spazio per i modelli di barelle ( io non mi avventuro per non rischiare!!!) Il tutto per far fronte a diverse tipologie di intervento in ambienti diversificati, che potevano andare dal pedone investito, al paziente da estricare all’interno di un veicolo, a quello da portare giù per le scale di un condominio o da prelevare in canali o fossati. Siccome è pressoché impossibile sapere che tipo di materiale può occorrere caso per caso, i V.S.S.T. prevedevano il caricamento a bordo di ogni tipologia di presidio sanitario, nel quale scegliere opportunamente secondo la necessità che si presentava. La dotazione proseguiva poi con lo zaino per la rianimazione, oltre ad un secondo come riserva; un frigorifero ed uno scaldaliquidi; pompe infusionali a doppia siringa; un set di intubazione con saturimetro; un set per drenaggio toracico ed uno chirurgico; un respiratore PneuPAC; un aspiratore di secreti Laerdal e – per chiudere la lista delle dotazioni asportabili ed utilizzabili dunque al di fuori del mezzo – un monitor defibrillatore Lifepack 10. Fra i presidi fissi, troviamo invece due diversi respiratori, un Medumat ElektroniK ed un Servo Ventilator 900 C. Altro elemento di novità era senz’altro l’impianto dell’ossigeno: questo non si avvaleva infatti delle classiche bombole, ma di un serbatoio fisso. Tale scelta evitava perdite o dispersione durante la fase del montaggio o smontaggio delle bombole.

La capacità era pari a 5.000 L senza contare il vantaggio derivante dal fatto che il serbatoio, costruito con tecniche aeronautiche, era installato nel telaio e dunque sufficientemente protetto in caso di incidente. Il comando di consenso alla erogazione o di chiusura della stessa si trovava accanto alle attrezzature sanitarie, facilmente raggiungibile ed utilizzabile. La ricarica poteva avvenire o da impianto a colonnina ( ospedaliero ) oppure da bombole carrellate qualora non fosse disponibile la prima opzione. In ogni caso l’operazione si svolgeva dall’esterno, tramite lo sportello ricavato nella parte bassa del montante B, fra le due portiere lato destro.

Ancora nel vano sanitario, sulla destra, si trovava un computer di bordo, che gestiva i dati degli impianti. Il monitor, ad esempio, permetteva di vedere i dati dell’impianto O2, quali la quantità rimanente in litri, il consumo per minuto e la pressione di erogazione, nonché il tempo residuo di autonomia aggiornato istantaneamente. Oltre a questo elemento, forniva a richiesta i dati degli altri impianti, di quello elettrico, dell’aria compressa e del vuoto. Inoltre consentiva anche di tenere sotto controllo la tempistica della assistenza ai materiali ( come cambio filtri, revisioni periodiche ed altro). Il software prevedeva anche dei programmi per l’inserimento dei dati del paziente e del servizio, con la possibilità di memorizzare in ambiente esterno tutti i dati che il computer avesse processato in modo da essere consultati ed utilizzati, a fini statistici o di verifica, in un secondo momento.

Il divisorio, altro elemento di rottura rispetto agli schemi tradizionali, era costituito da una paratia trasparente scorrevole che garantiva – se non ancora il comodo passaggio fra vano anteriore e quello posteriore, data la presenza del sedile anteriore subito in fronte all’apertura – quantomeno una maggior facilità di comunicazione fra questi due ambienti. In cabina guida, invece, vi era una innovazione che riguardava seppur in modo diverso la sicurezza: invece dell’ordinario tachigrafo presente su ogni mezzo, venne installato un cronotachigrafo che oltre ad indicare come è logico la velocità del mezzo, registrava l’attivazione dei segnalatori di emergenza, luminosi o sonori: va da sé che in caso di incidente questo poteva essere una valida prova in più contro gli invocati ( a volte in buona, altre in mala fede) mancati utilizzi – o accensioni all’ultimo istante -di sirene e lampeggiatori. Ad ulteriore sicurezza, una spia luminosa e sonora indicava il superamento della velocità prefissata ( impostabile nel range compreso tra i 50 ed i 125 km/h): un sistema oggi diffuso, ma all’avanguardia 25 anni fa.

Sulle “ali” poste ai lati del tetto si trovavano poi i lampeggiatori a parabola rotante posteriori ( quello anteriore come da consuetudine Grazia era posto su un supporto al centro del tetto, subito sopra il parabrezza) ma queste ali erano state allungate rispetto allo schema ordinario ed ospitavano – 5 a destra ed altrettante a sinistra – le antenne degli apparati radio; sul tetto poi erano presenti 4 piccole luci rosse che servivano per individuare il veicolo dall’elicottero. Infine completavano il quadro della segnalazione visiva due lampeggianti flash a luce blu sopra i portelloni posteriori.

IL PERSONALE
Abbiamo velocemente accennato alla composizione dell’equipaggio: occorre riprendere l’argomento personale per segnalare che i dipendenti dell’area infermieristica che già operavano sulle “normali” ambulanze di emergenza di Bologna Soccorso dovettero seguire uno specifico corso per acquisire la necessaria padronanza di ogni elemento caratteristico che distingueva queste Ambulanze Grande Volume. Il corso rivolto invece agli infermieri della rianimazione, che uscivano solo con i Twin, era incentrato sulla acquisizione della conoscenza delle caratteristiche e delle problematiche specifiche del soccorso in ambiente extra-ospedaliero, e questo sia con apposite sessioni teoriche che pratiche.

I NUMERI DEL SERVIZIO
Gli unici dati relativi alla operatività del Progetto rintracciabili sono disponibili nell’articolo a firma di Luciano Vigna ( articolo peraltro utilissimo anche sotto altri aspetti) pubblicato sul numero 5 di N&A nel Maggio 1992, dal quale si riscontrano nei primi 7 mesi di attività 711 interventi, per 783 pazienti soccorsi, per 2,96 missioni al giorno. Sul posto sono stati trattati 561 pazienti – cifra che comprende anche le persone per cui è stato dichiarato il decesso sul posto – veicolati in P.S. eventualmente con le ambulanze standard, mentre 222 sono poi stati trasportati in Ospedale con i V.S.S.T. LA LIVREA. Per concludere, un breve cenno alla livrea, che nasce in occasione dei Mondiali di Calcio del 1990 che interessarono anche lo stadio bolognese. Il logo di Bologna Soccorso, poi divenuto comune a tutte le ASL della Regione a seguito del progetto di “Immagine visiva coordinata del Servizio regionale 118” di cui alla delibera 1483/e del 19.12.1991, viene integrato in una livrea che punta alla visibilità unita ad una sostanziale pulizia dei colori: infatti è giocata sul bianco del corpo vettura (obbligatorio per legge) e sull’arancio delle bande retroriflettenti, qui non limitato alla sola fascia di 20 cm ma estesa a tutta la parte inferiore della fiancata, al cofano ( dal quale venne in seguito eliminato, perdendo di conseguenza la scritta invertita bianca in favore di quella standard arancio su base bianca) ed al posteriore in cui vengono inserite bande oblique bianche pure retroriflettenti che hanno inizio fin da dietro il passaruota posteriore. A parte questo, l’unico altro colore è il grigio delle piccole bande trasversali in corrispondenza delle maniglia apriporta, che richiamano lo stesso colore applicato nella parte inferiore della scocca. La loro presenza era stata pensata per rendere visibili le maniglie anche in condizioni di visibilità minima. Una nota di colore riferita da Marco Vigna “ in realtà, era sorto un problema relativo alla presenza di due maniglie sul portellone del vano sanitario: una verso il posteriore, che sbloccava le portiere, e l’altra verso la parte anteriore che aveva funzione solo di accompagnamento del portello alla chiusura. Tale soluzione, non presente su alcun altro veicolo di soccorso, portava con una certa frequenza il personale meno presente ( tipo medici ed infermieri della Rianimazione, o i portantini del PS) a cercare di aprire la portiera agendo sulla maniglia sbagliata, da qui la soluzione di evidenziare quella di apertura mediante i riquadri rifrangenti!”.

Ancora dalla voce di Marco Vigna:

“Sul montante B destro era riportata in verticale la striscia a barre trasversali
grigie sormontate da pittogrammi raffiguranti in rosso una mano barrata, per evidenziare il rischio di utilizzare il montante come appiglio per la salita nel momento in cui portellone o portiera fossero stati in fase di chiusura. Eravamo intervenuti per evitare casi di schiacciamento di dita mentre il personale o i pazienti avessero inavvertitamente afferrato il montante per salire mentre si chiudeva la portiera. Fu anche questa una innovazione portata dai Twin. Successivamente, tutte le
ambulanze di Bologna Soccorso furono dotate di una segnalazione di pericolo di schiacciamento che però fu realizzata con la stessa striscia di pittogrammi raffiguranti la mano barrata, ma su fondo bianco invece che grigio”.

Una piccola innovazione, aggiungeremmo, che andava nel senso della prevenzione dei traumi e dunque se vogliamo collegata al servizio di queste inusuali macchine. All’inizio, sul ricasco del tetto, sia davanti che dietro, apparve anche la scritta – poi tolta – su fondo rosso Bologna Soccorso. Spiccano, a contrasto, sull’arancio i piccoli riquadri giallo/neri che riportano il numero aziendale ( BO2706 e BO2707 per i due Twin, BO 2744 per il 4×4). Data la colorazione incentrata solo su questi colori, che già rappresentava una forzatura rispetto allo standard della normativa vigente, eccezione per eccezione non è mai comparsa sui Twin – come del resto sulle altre macchine della Regione – la Croce di Esculapio blu.

FINE CARRIERA
L’esperienza dei Twin ha avuto termine, come tale, con la radiazione dal servizio dei due mezzi, che nel corso degli anni erano comunque stati convertiti anche al soccorso generico e non limitato più solo ai traumi. Una, la BO2707 cioè il secondo esemplare, ha terminato la sua carriera il 24 Marzo 1997 a seguito di un incidente, mentre l’altra è stata ceduta in Africa nei primi anni 2000, e se ne sono perse le tracce. A titolo di curiosità, il Daily 4×4 invece è ancora esistente, pur se accantonato dopo avere trascorso parte della vita operativa anche nei cantieri dell’Alta Velocità. Nel frattempo, l’introduzione delle automediche ha modificato in modo sostanziale il modo di intervenire sul territorio. La tecnologia ha poi consentito una riduzione notevole dello spazio richiesto da molte apparecchiature medicali ed oggi avere un turno di automedica composto da specialisti quali quelli che già avevano servito sui Twin offre in pratica un livello di assistenza simile a quello visto fin qui, pur se con costi minori: in certa misura, possiamo considerare questo turno come un proseguimento dell’esperienza che dal 1991 al 2001 ha costituito un unicum, non solo nel panorama nazionale ma anche in quello (almeno) europeo.

  • BIBLIOGRAFIA/FONTI
  • Carr. Grazia – brochure pubblicitaria “autoambulanze Twin”, Bologna 1993
  • Massimo Baietti e Fiorella Cordenons -118 Bologna Soccorso – La storia (www.118er.it );
  • Alberto Di Grazia – Grazia, 62 anni che hanno segnato il soccorso in Italia – Emergency-live, www.emergency-live.com/it/equipaggiamenti/storia-delleambulanze- grazia-62-anni-che-hanno-segnato-il-soccorso-in-italia/Luglio 2016;
  • Luciano Vigna – Veicolo specializzato per il soccorso ai traumatizzati – N&A n. 5 Maggio 1992, articolo di Luciano Vigna;
  • Autore ignoto – Marco Vigna va in pensione – Luglio 2016, www.salute.regione.emilia-romagna.it;
  • Sito internet Azienda Usl Bologna;
  •  Rivista Quattroruote – numeri vari 1965;
  •  Marco Vigna – ricerca presso Archivi Vari sulla utilizzazione del n. 116 come numero sanitario;
  •  Marco Vigna – intervista telefonica del Febbraio 2017;
  •  Circolare Ministero Sanità n. 5 del 1 Aprile 1967;
  •  Leonardo Ferrazzi – articoli vari su N&A, anni diversi.

Grazie a

  •  Fabio Fertino – esperto e collezionista, per la consulenza sui caschi protettivi;
  •  Roberto Pola – esperto e collezionista, per i contatti e le informazioni fornite.
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