Fibrillazione atriale: i sintomi cui prestare attenzione

La fibrillazione atriale è l’aritmia più diffusa nella popolazione generale e la sua prevalenza tende a crescere con l’avanzare dell’età

La maggior parte dei pazienti che ne soffre ha più di 65 anni, con un maggior coinvolgimento degli uomini rispetto alle donne.

L’insorgenza di questa patologia può influire in modo molto negativo sulla qualità della vita dei pazienti.

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Che cos’è la fibrillazione atriale?

Questa aritmia è una patologia cardiaca e si verifica quando l’attività atriale è irregolare e disorganizzata, e le contrazioni si susseguono a ritmo più elevato della norma (il cuore fibrilla appunto).

Alla base di questa anomalia vi è un difetto elettrico del cuore che porta gli atri in un “cortocircuito”.

Gli impulsi elettrici anomali possono raggiungere la frequenza di 300 battiti al minuto e nella stragrande maggioranza dei casi provengono da cellule cardiache poste nelle vene polmonari.

Questo è molto vero nel caso della fibrillazione atriale parossistica.

Nella normalità, il segnale elettrico origina nel nodo-seno-atriale posto nell’atrio destro: da qui il segnale raggiunge l’atrio sinistro, gli atri si contraggono, l’impulso passa attraverso il nodo atrioventricolare (una sorta di diga fra gli altri e i ventricoli) e l’impulso elettrico passa poi ai ventricoli.

Questi si contraggono a loro volta e pompano il sangue al resto dell’organismo.

Quello che succede nei pazienti con fibrillazione atriale, è che la contrazione della parte superiore del cuore (gli atri) è aritmica, molto veloce, e non è sincronizzata con quella della parte inferiore (i ventricoli).

Le tre tipologie di fibrillazione atriale

Da un punto di vista clinico si distinguono tre tipologie di fibrillazione atriale: parossistica, persistente e permanente.

Si parla di fibrillazione atriale parossistica quando gli episodi, sporadici e dalla durata limitata a poche ore, si presentano e si risolvono entro una settimana.

Questo disturbo va curato e tenuto sotto controllo dallo specialista, per evitare che si aggravi.

Si definisce infatti persistente lo stadio successivo della fibrillazione atriale: una fibrillazione che dura più di 7 giorni e in cui si rende necessario un intervento per interromperla poiché non regredisce in autonomia.

La fibrillazione atriale permanente infine è la forma che si giudica non più reversibile.

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I sintomi della fibrillazione atriale

I pazienti con fibrillazione atriale avvertono in genere una sensazione di battito irregolare, spesso accelerato (cardiopalmo aritmico); possono inoltre aversi mancanza di fiato (dispnea) e una sensazione di debolezza.

I sintomi possono avere carattere episodico o presentarsi con maggior frequenza durante uno sforzo fisico. Tuttavia in alcuni casi, non così rari, la fibrillazione atriale è asintomatica.

Questi casi sono molto delicati perché il paziente non avverte segnali di allarme, l’eventuale trattamento viene ritardato e il cuore può andare incontro a una riduzione della propria capacità funzionale, oltre ad aumentare il rischio di fenomeni embolici periferici.

Infatti la fibrillazione atriale aumenta significativamente il rischio di eventi trombotici: l’immobilità meccanica degli atri può favorire la formazione di coaguli che possono raggiungere il circolo cerebrale e provocare ischemie e ictus cerebrali.

Fibrillazione atriale: i fattori di rischio

Alcune condizioni possono favorire l’instaurarsi di questa forma di aritmia, ne sono un esempio:

  • ipertensione arteriosa;
  • infarto del miocardio;
  • insufficienza cardiaca;
  • diabete;
  • patologie valvolari;
  • esiti di interventi cardiochirurgici;
  • patologie tiroidee o polmonari.

Inoltre alcuni studi hanno identificato una possibile correlazione tra la fibrillazione atriale e le patologie gastroesofagee.

Anche la sindrome delle apnee notturne ha una forte associazione con le aritmie cardiache, in modo particolare con la fibrillazione.

Gli esami per la diagnosi

In presenza di battito irregolare è bene consultare uno specialista cardiologo o aritmologo, che inviterà il paziente a eseguire una serie di accertamenti.

L’esame di elezione per la diagnosi è l’elettrocardiogramma.

Una diagnosi tempestiva è fondamentale per salvaguardare la salute cardiovascolare del paziente.

Una fibrillazione non controllata infatti può portare a scompenso cardiaco e aumentare il rischio di ictus cerebrale.

Tutti i pazienti con fibrillazione devono fare un holter 24h ECG, un esame che serve a valutare il “burden” di fibrillazione atriale, ovvero la durata complessiva degli episodi in un giorno.

L’holter, infatti, può confermare se la fibrillazione atriale va e viene o è sempre presente.

Questo strumento può anche confermare la presenza di extrasistolia atriale che è nella maggioranza dei casi quella che inizia la fibrillazione: identificare queste extrasistoli è dunque di fondamentale importanza.

Un altro strumento che si può valutare è l’impianto nel sottocute di un microchip definito anche “loop recorder” ossia un registratore di eventi.

Ha una batteria che dura circa 4 anni e serve per registrare tutti gli eventi aritmici (come se fosse un holter continuo).

Si tratta di un piccolo dispositivo di 3 cm di lunghezza e 0.5 mm di larghezza e spessore.

La metodica più efficace nel mantenimento del normale ritmo cardiaco è l’ablazione transcatetere per il trattamento della fibrillazione.

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Fonte dell’articolo:

Humanitas

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